giovedì 31 dicembre 2015

Cicale di Mare al profumo di arancia



Ingredienti

Cicale di mare 
Pannocchie 
quante riuscite a mangiarne
2 arance
olio evo q.b.
prezzemolo


Facile facile, veloce veloce e di grande effetto.
Prendete una pentola  per la cottura a vapore e versatevi acqua e succo d'arancia fino ad un livello di un paio di cm. Portate ad ebollizione, mettete il cestello con le pannocchie e coprite con un coperchio. Lasciate cuocere per 10 min.
Le pannocchie sono pronte. Ora, se volte essere gentili con gli ospiti, tagliate con delle forbicine per le unghie il carapace lungo tutta la schiena e toglietelo, senza levare la testa e la coda.
Fate un emulsione con olio e succo d'arancia e irrorate le cicale. Spolverizzate con prezzemolo e pepe se gradite.
Servite e buon appetitio!


Opposti e contrari: Blanc de Morgex et de la Salle 2014 e Garighe



Un post curioso per una cena dove si sono succeduti gli opposti, per nascita, e contrari, per carattere.
Avevo una bottiglia di Blanc de Morgex et de la Salle che aspettava da una settimanella di essere aperta e il cous-cous di crostacei e frutti di mare del 26 dicembre è stata l'occasione che non ha potuto mancare. Ma anche le mie figlie aspettavano l'occasione di aprire la prima bottiglia di Garighe delle feste (l'altra è quella riservata a questa sera), il loro quasi-vino preferito, e una torta di ricotta all'arancia, che ha seguito il cous-cous, non ha scatenate. E così, gli opposti si sono incontrati sulla tavola di S. Stefano.
Uno, fratello minore, estremo e più  spontaneo del Rayon, dalla vinificazione effettuata solo con tecniche antiche, nasce sull'alto dei monti, nell'ultimo nord dell'Italia, in valle d'Aosta, dall'autoctono prié blanc a piede franco; l'altro, neppure un vino ma solo un mosto fermentato, viene dal sud remoto delle coste dell'Africa, dalla brezza marina e dal sole di Pantelleria e nasce dallo zibibbo, vitigno che di quei climi cattura tutto il calore e i profumi, inebrianti e quasi esotici.
Ma versiamoceli e assaggiamoli.
Il Blanc de Morgex et de la Salle di Cave Mont Blanc è di una trasparenza estrema, incolore e impalpabile come l'aria in cui cresce, leggero e con solo una debolissima sfumatura paglierina. Porta con sé un grande profumo di lieviti e agrumi, intenso, con note di biancospino appena accennate e, al sorso, una bellissima acidità minerale, una freschezza assoluta, elegante e lunga, con decise sfumature di pompelmo. Un vino eccellente al quale, però, continuo a preferire leggermente il Rayon, che ha una complessità maggiore e porta in sé anche toni delicatamente più morbidi. In ogni caso un compagno meraviglioso per il mio delicato cous-cous di gamberetti, piatto ironicamente proveniente dalle regioni del Garighe.

Di questa seconda bottiglia, che dire? Non è neppure un vino e, con i suoi 4 gradi di alcol, è una delle passioni delle mie figlie che possono assaggiarne un po' più di un fondo di bicchiere. Il colore è tra l'oro e l'ambra leggera, e il profumo ampio dello zibibbo c'è tutto, fiori, frutta secca, fichi, datteri, ma con una leggerezza maggiore che nei veri passiti. E poi, una grande dolcezza, tipica del mosto dove la quota di zuccheri è ancora tutta da aggredire e trasformare in potenza alcolica. Insomma, una chicca e una curiosità, che pur non essendo vino ne ricorda aromi e sensazioni e che può far felici senza inebriare durante la degustazione di un buon dessert.

Il Blanc de Morgex si trova in enoteca intorno agli 11€, più o meno quanto il Garighe. 86/100 per il primo e nessun punteggio per una curiosità enologica come il secondo.

mercoledì 30 dicembre 2015

Toscana I.G.T. Poggio Badiola 2012 Mazzei



Durante il pranzo di Natale con i nonni, in compagnia di un maialino al forno, ho aperto questa bottiglia. Anche in questo caso, tanta invidia per la famiglia che lo produce, erede di una tradizione pluricentenaria di possessori di vigne nel centro del centro della Toscana, tra Siena e Firenze: terra di castelli, ricche e antiche magioni e, appunto, piccole badie, badiole, come quella che dà il nome a questo IGT che proviene dai vigneti che ne circondano una in quel di Fonterutoli, in terra di Chianti.
Il Badiola, sintesi di uve sangiovese e merlot, è uno dei vini più semplici della tenuta, ma non per questo di scarso valore. Un colore un po' strano, granato ma con riflessi rosa, lo presenta all'assaggio. Il naso è piuttosto ampio e di buona complessità, tutto improntato a note di frutta rossa, ciliegia e leggere spezie. Un tocco di pepe nero e note finali più eteree completano il bell'aroma. La scelta di abbinarlo alla succulenta grassezza della carne di maiale al forno è stata abbastanza azzeccata: al gusto è fresco e sapido, di buona acidità, sempre molto ricco nel suo tono di ciliegia. Solo il tannino, piuttosto sfumato e non aggressivo, più elegante che deciso, avrebbe potuto essere più evidente su un piatto del genere. Un vino che credo si sposerebbe molto bene anche con primi al ragù di carne, non eccessivamente corposo. Nel complesso una bottiglia molto gradevole per i suoi 12€. Il mio punteggio, forse non troppo preciso visto l'assaggio fatto durante il convivio, è di 86/100.

lunedì 28 dicembre 2015

Sauvignon altoatesino: Alto Adige D.O.C. Sauvignon Mock 2014 Cantina Bolzano



Per la cena della vigilia di Natale, tutta a base di pesce e di cui vi racconterò il menù nei post dedicati alle varie portate, dovevo scegliere qualcosa di adeguato. I piatti erano diversi per caratteristiche di gusto, alcuni molto semplici, come l'insalata di calamari, altri con toni agrumati e dolci, come l'insalata di gamberetti ai frutti di bosco, altri più strutturati e decisi, come i crostini vongole e broccoletti o il cous-cous di pesce. Insomma, per una cena con molti più piatti che bevitori, visto che eravamo in soli tre adulti di cui un quasi astemio, dovevo scegliere un'unico vino che tenesse il passo delle portate. Dopo averci pensato un po', ho scelto questo sauvignon altoatesino che prometteva buone qualità di freschezza, ma anche di aromaticità e struttura. Il risultato è stato decisamente positivo e la bottiglia non ha fatto rimpiangere scelte diverse.
Il Mock, che appartiene alla linea Premium dell'ottima Cantina Bolzano, è un vino di alta qualità. L'aspetto è diafano nel bicchiere, paglierino trasparentissimo e quasi incolore, ma forma stretti archetti e spande un intenso profumo di frutta gialla e agrumi, accompagnati dalla classica nota erbacea (la famosa foglia di pomodoro degli esperti) del sauvignon e da una complessa cornice di lieviti e crosta di pane. Sulle pietanze ha un gusto fresco, di buona acidità e di decisa mineralità, è elagante e pulito e sfuma con un leggero ritorno finale, appena appena accennato, di crema pasticcera. Un vino che mi sento senz'altro di consigliare nonostante il prezzo non proprio popolare, 15€ in enoteca. Per questa bottiglia, 88/100 e un ottimo ricordo.

Insalata di gamberetti e piccoli frutti


Anche questo piatto è legato a un ricordo di tanti tanti anni fa, più di venti, meno di venticinque, uno dei primi anniversari di findanzamento, l'emozione dell'amore visto con gli occhi di un adolescente, l'emozione di una cena fuori raramente concessa da genitori d'altri tempi, l'emozione di una spesa folle pagata dalle tasche di uno studente. Quello studente è diventato mio marito, quindi sono autorizzata ad abbandonarmi ai ricordi e a ripercorrere quelle emozioni.
Il mio menù, rigorosamente senza prezzi come si addice ad un ristorante di livello, riportava le stesse parole con cui ho titolato questo post: insalata di gamberetti e piccoli frutti, così non esitai ad ordinarlo, aspettandomi un'insalata di gamberetti e piccoli frutti di mare. A parte i complimenti del mio fidanzato per la scelta (lui aveva il menù con i prezzi...), la sorpresa non fu piccola quando, all'arrivo del piatto, scoprii che per piccoli frutti si intendevano frutti di bosco. Timido il primo assaggio, sfacciato il seguito. Fu tanta la sorpresa che il piatto mi restò impresso e la facilità della preparazione mi ha reso possibile riproporlo in occasioni seguenti.
La ricetta è semplicissima, bisogna solo saper cucinare i gamberetti: portate a ebollizione una pentola di acqua, spegnete il fuoco, buttate dentro i gamberetti non sgusciati, aspettate un minuto e scolate. Mescolate con i frutti di bosco e la valeriana e irrorate con un'emulsione di olio e arancia.
Se i vostri commensali sono particolarmente simpatici e volete rendergli la vita facile, sgusciate i gamberetti e togliete il filetto nero sulla schiena, poi assemblate l'insalta, altrimenti lasciate che ognuno pensi per sè.
Le dosi? Il mio è un consiglio, potete modificare a piacere:

Ingredienti per 2 persone: 
1kg di gamberetti freschi e non trattati
1 vaschetta di more
1 vaschetta di lamponi
1 vaschetta di mirtilli
50g di songino
1 arancia
2 cucchiai di olio


Il piatto può essere servito come secondo o come antipasto variando le quantità.
Buon appetito!

mercoledì 23 dicembre 2015

Un altro Lagrein: Alto Adige D.O.C. Lagrein 2014 Elena Walch



Altra puntata in Alto Adige, altro lagrein, altra blasonata cantina, Elena Walch, un nome che non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati del vino. Ma anche oggi, come faccio quasi sempre a meno di occasioni speciali che posso prendere a pretesto per spese folli, mi sono limitata a uno dei vini della selezione di base, il Lagrein 2014. Spesso i vini più semplici la dicono lunga sul produttore. Sono quelli che non nascono con troppe ambizioni, se sono buoni vuol dire che in cantina si lavora bene sempre e comunque. È il caso di questa bottiglia che, pur non esaltante, non delude affatto e mostra delle caratteristiche pregevoli e distintive. Il vino si presenta con un color porpora molto limpido ma compatto e un corpo non troppo pesante. Ha trama fine. Profumi di ciliegia e frutti di bosco abbastanza decisi ma, come tono distintivo, ci sento in primo piano la violetta, una nota floreale particolare e molto piacevole, elegante.
È un vino che si distingue all'ingresso per freschezza e acidità ben presenti, è sapido, pulito e non lunghissimo. Netto. E con una leggerissima sensazione quasi agrumata (?!)  che accompagna lo sviluppo delle note di frutta e di fiori percepite già al naso. Un lagrein che fa dell'immediata freschezza e pulizia il suo tratto distintivo. Mi è piaciuto. Non un vino memorabile, ma una bella interpretazione originale del vitigno, da ricordare per sposarlo a preparazioni di cucina che tendono alla morbidezza e alla dolcezza dei sapori, dove la freschezza del vino è piacevole contrasto. 12€ e 84/100.

lunedì 21 dicembre 2015

Arista arrosto in lardo di Colonnata




"Aristos!"  questa esclamazione di apprezzamento del cardinale greco Basilio Bessarione, pronunciata all'assaggio di un arrosto, durante un concilio ecumenico tenutosi a Firenze nel 1439, ha decretato il nome di questo taglio di carne di maiale per i secoli a venire. In realtà il povero Basilio, voleva solo dire che quello nel suo piatto era "il migliore" arrosto che avesse mai mangiato. I fiorentini presenti, un po'  allegri a quel punto del pasto, si invaghirono di questo termine e decisero che era più simpatico di "lombata", e la ribattezzarono arista seduta stante. Questo quel che si racconta. Ma chiamate pure questa carne come volete, il suo innegabile gusto resta inalterato, ponete però la massima attenzione al taglio. L'arista è lunga, c'è l'arista di costa e l'arista di lombo, la prima molto più tenera della seconda.
Come riconoscerla? semplice: dal colore. L'arista di costa presenta una tipica doppia colorazione: chiara al centro e più scura in basso e sulla destra (vedi foto). Non disdegnate  le venature di grasso, in cottura si sfanno e rendono la carne più tenera e saporita.
Se volete essere certissimi di avere un arrosto che si scioglie in bocca, fate così: infilate il vostro pezzo di carne in una sacchetto da congelatore e chiudetelo. Afferrate il pezzo di carne inbustato con entrambe le mani e sbattetelo violentemente e ripetutamente su un piano da lavoro alternando i vari lati e i due capi. Chi ha familiarità con la frollatura del polpo ha capito.
Toglietelo dal sacchetto (che serve soprattutto a non far schizzare il sangue della carne per tutta la cucina) e seguite la mia ricetta.




Ingredienti per 5/6 persone

1,2 kg di arista di costa in un solo pezzo
1 hg circa di lardo di colonnata
trito di sedano carota e cipolla
1 bicchiere di vino bianco
4cucchiai di olio evo
 qualche ago di rosmarino


Disponete le fettine di lardo tutt'attorno alla carne e legate l'arrosto con dello spago da cucina come in foto.
Scaldate un bel tegame antiaderente dalla forma allungata e versatevi l'olio. Quando avrà raggiunto una temperatura percepibile come alta da una mano tenuta ad un cm di altezza dal fondo della pentola, unite la carne e il trito. Fate rosolare l'arrosto su tutti i lati, sfumate con il vino bianco e coprite con un coperchio. 
Lasciate cuocere 45 minuti e, a quel punto, potete continuare la cottura nello stesso modo per altri 45 minuti oppure mettere il tegame col coperchio in forno caldo a 180° per un'altra oretta. L'ultima volta che ho preparato questo piatto ho seguito questo secondo metodo di cottura regolando il timer del forno perchè alcuni impegni mi portvano lontana dalla mia cucina e quindi dalla manopola del gas. il risultato è altrettanto buono.
Lasciate raffreddare la carne, tagliatela a fette con un coltello adeguato e rimettetela nel suo fondo di cottura. Scaldatela al momento di servire.
Consiglio vivamente di preparare questo piatto il giorno prima e lasciare riposare bene la carne. Tagliatela solo quando sarà ben fredda, eviterete che si sbricioli.
Ottima accompagnata da peperoni arrosto.
Buon appetito!

domenica 20 dicembre 2015

Dalla storia del vino toscano: Toscana I.G.T. Villa Antinori 2009


Un'appassionata come me non può non invidiare chi fa vino da centinaia di anni. Antinori è uno dei nomi più antichi dell'enologia italiana, una storia di vigne e di vini che vale un blasone. Parlare della loro azienda e dei loro vini è pleonastico, tanta storia, terre meravigliose, prodotti anche eccelsi. Quindi, non lo farò. Invece, mi aprirò questo figlio cadetto, il Villa Antinori, nome di quasi novant'anni ma corpo più volte ringiovanito dal mutare degli uvaggi e dei lavori di cantina. 
Questo 2009 mitiga la forza della sua metà abbondante di toscanissimo sangiovese con le caratteristiche di uve internazionali, il cabernet sauvignon, il merlot e il syrah, e compone il tutto con un affinamento in legni di varia provenienza che dura un anno. 
Un vino studiato, quindi, non il risultato diretto di uva e territorio, piuttosto il tentativo di prendere il buono da più parti e di comporlo in una bottiglia che regali emozioni policrome. 
Ora che l'ho degustato e poi bevuto sul mio spezzatino di manzo in casseruola, credo proprio di poter dire che il tentativo è riuscito. D'altra parte, una storia di così lungo raggio qualche garanzia deve pur darla. 
Il Villa Antinori ha una bella trasparenza luminosa che fa filtrare lo sguardo attraverso i suoi riflessi tra rubino e granato e si muove fluido ma non troppo veloce mentre lo agito. Profuma di ciliegia e amarena, pepe e cioccolato fondente, e ammetto che si sente anche quella punta di menta che dichiara il produttore nella sua scheda. È ampio e di buona complessità. L'assaggio sorprende all'inizio per una freschezza pulita, un po' in contrasto con l'aroma avvolgente di prima, ma si stempera subito dopo in note più morbide che tendono a una momentanea dolcezza. Infine, termina con la dovuta durata in tannini morbidi e ben integrati con note di legno e tabacco ormai tutt'altro che dolci.
Si sente che è un vino con più anime, ma tutte elegantemente concordi nel determinare un valido insieme. Una bevuta di buon livello sulla mia preparazione di carne rossa succulenta e strutturata che non mi ha fatto rimpiangere i 14€ dell'acquisto. 88/100.

sabato 19 dicembre 2015

Un gioiellino per tutti: Barco Reale di Carmignano D.O.C. 2013 Capezzana



Medici sì, se le medicine erano queste! Il Barco Reale prende il nome dall'antica tenuta di caccia medicea che fu la prima zona vinicola del mondo a essere normata in nome della qualità dei vini prodotti, già nel XVIII secolo. E se il vino è medicina, almeno per lo spirito, quello di oggi ha il prezzo di un farmaco generico, ma l'efficacia delle cure più attente. Del suo fratello maggiore vi ho già parlato con toni d'elogio qualche tempo fa, ma questo "piccolino" può rallegrare la vostra tavola quasi altrettanto, chiedendovi però meno della metà della spesa. Non si può fare a meno di prenderlo in considerazione tra le migliori bottiglie per rapporto qualità/prezzo, quelle che in casa non dovrebbero mai mancare per un buon bere anche sulla cena organizzata all'ultimo istante.
Le uve di questo Barco Reale sono il sangiovese e dosi decrescenti di cabernet sauvignon, canaiolo e cabernet franc, per un blend che affronta il legno grande per un annetto. I risultati sono di rilievo.
Versato nel calice ha un colore rubino perfetto e appare di buona trasparenza e media densità. Ha naso intenso e di piacevole complessità, con note di ciliegia, ma anche floreali, una punta di pepe e leggeri aromi di legno che mi hanno portato al ricordo del profumo di corteccia e foglie bagnate di un bosco autunnale... ma io sono una sognatrice.
Il sorso è equilibrato, tra una bella freschezza e una certa rotondità, e il frutto si stempera in un finale leggermente ammandorlato, con un tannino deciso e asciutto, piacevole e pulito. Mi è sembrato molto gradevole, una qualità sorprendente per un vino alla portata di tutte le tasche. Io lo trovo perfetto su una bella fiorentina alla brace, così pulito e essenziale, sulla quale acquisterebbe morbidezza e regalerebbe eleganza. 86/100 li merita tutti e per soli 8€! Un'ottima scelta.

domenica 13 dicembre 2015

Una veste elegante: Trentino D.O.C. Lagrein Riserva Pletter 2011 Cesconi

Purtroppo sono stata un po' lontana dal mio blog negli ultimi tempi. Sono stata presa da un progetto al quale sto lavorando e che spero di poter portare a buon fine in breve, sempre legato ai miei interessi gastronomici. Ma non per questo ho smesso di cucinare, bere, assaggiare e prendere appunti. Torno oggi con una bottiglia di  Cesconi, azienda trentina di cui vi ho già parlato quando vi ho proposto le mie impressioni sul loro Olivar, un altro dei loro cru.
La loro ultima bottiglia provata, il  Pletter, per me era una novità, mai bevuta prima. Mi ha intrigato, dallo scaffale, anche per la sua veste elegante, una bella etichetta sui toni del nero, del grigio e dell'oro e ho deciso di provarla per accompagnare una zuppa di funghi e castagne e dei piatti di salumi e formaggi, tra cui comparivano i sapori fumé del Sauris, del prosciutto di Cormons e dello speck altoatesino.
Nella interpretazione del Pletter, il lagrein si presenta di un color porpora denso e violaceo, più stretto e concentrato che nella maggior parte delle vinificazioni. Il profumo che si apre nel calice è di grande ampiezza, ma di complessità più limitata, piuttosto monocorde, su toni di mirtillo un po' vinosi, piacevole e con un leggerissimo ricordo di lieviti, ma non esaltante. Al gusto è pulito, fresco e secco, abbastanza elegante e con un retronaso leggermente profumato e termina, non breve, con tannini decisi e asciutti. Un vino di buon livello, ma che non eccelle a mio parere per rapporto qualità/prezzo. 85/100 per 18€, un prezzo al quale si possono trovare bottiglie più entusiasmanti.

venerdì 27 novembre 2015

Folletto del Sud: Salento I.G.P. Elfo Susumaniello 2013 Apollonio



Dai discendenti di Noè ci si aspetta che il vino lo sappiano fare. L’azienda Apollonio viene da una lunga tradizione di famiglia - dai tempi di Noè, appunto - e oggi è una cantina di belle dimensioni del Salento che distribuisce in tutta Italia e all'estero. La produzione di vini, che è ampia e diversificata, è basata sia su vitigni autoctoni e varietà a diffusione locale, sia su uve nazionali e internazionali. Oggi ci occupiamo del minore tra questi vitigni, il susumaniello, autoctono o di provenienza dalmata, utilizzato in passato come vino da taglio per le sue grandi rese che permettevano di caricare le bestie da soma con il frutto delle sue vendemmie e che gli hanno guadagnato l'appellativo di somarello. Finita l'epoca della quantità e delle uve da taglio, è stato riscoperto per vinificazioni di maggior pregio in tempi abbastanza recenti e lo troviamo in bottiglie di buona qualità che riscuotono un certo successo. Come, per citare un concorrente più noto del vino di oggi, il Serre di Cantine due Palme che ha larga diffusione e in genere piace un po' a tutti per il buon carattere morbido e facile.

L'Elfo Susumaniello è un prodotto della linea più economica dell'azienda che mi era già capitato di assaggiare e gradire. Me lo ero segnato come uno di quei vini con un sorprendente rapporto tra gusto e prezzo che fanno la gioia degli appassionati di pochi mezzi. L'aspetto non ha nulla di speciale, rubino cupo nel colore, né leggero né denso nella consistenza. Ma il profumo è piuttosto presente e evidente, di frutti rossi, ciliegia,  ma soprattutto trasporta belle note floreali e erbacee che sono il pregio più evidente di questo vino che vira nel finale anche su leggeri toni animali, di cuoio. Ha un gusto fresco e piacevole dove le componenti aromatiche avvertite al naso si fondono in una nota di tenue dolcezza e chiude con tannini decisi e puliti che accompagnano un finale di discreta durata. Un vino del Sud tutto sommato fresco nonostante l'alcol, la cui caratteristica più piacevole sono quei toni vegetali d'erbe e fiori che mancano in altri vini dello stesso vitigno. Come nell'ottimo Serre, ad esempio, che ne condivide la convenientissima fascia di prezzo. In breve, un vino non troppo complesso ma particolare, che a me è piaciuto senza riserve per un prezzo quasi ridicolo: 7€ e 85/100, da provare senz'altro. Un elfo dotato di una qualche leggera magia.

mercoledì 25 novembre 2015

Orecchiette broccoli e pancetta.



Questo è un piatto della tradizione, niente di particolarmente nuovo. E allora perché proporlo? Due sono le ragioni:

1. Volevo mettere alla prova le orecchiette senza glutine Farabella. Non amo particolarmente questa marca di pasta, ma le orecchiette le producono in pochissimi e non ho avuto altra scelta. Il test comunque è andato benissimo: la pasta tiene egregiamente la cottura - anche oltrepassando i tempi indicati sulla confezione - e non si rompe nel ripassarla in padella. Il sapore è ottimo e lega bene con il condimento.

2. Mi sono anche resa conto che raramente, quando si cerca questa ricetta, c'è una descrizione dettagliata di come "capare" il broccolo. Io, che sono un'assidua frequentatrice di mercati, ricorro sempre al prodotto fresco e invito tutti a utilizzare solo quello, sentirete che differenza!

 
 Ingredienti per 4 persone
350g di orecchiette
500g di broccolo siciliano
150g di pancetta affumicata
olio evo q.b.
ricotta salata al pepe
peperoncino se piace




Diamo il via alle danze. Per prima cosa occupiamoci del broccolo.
Le foglie non si buttano! Si staccano e si sfilano: chiudete la mano attorno all'estremità inferiore e tirate. Separerete così molto facilmente la foglia dalla costa. La costa va buttata, la foglia messa da parte.
Staccate dal torsolo centrale, uno ad uno, i fiori, incidete la parte esterna con un coltellino e tirate come in foto. Ripetete l'operazione fino a pulire tutto il gambo, dopodiché tagliate a metà i più grandi, si lesseranno prima.




Quando avrete staccato tutti i fiori vi resterà il torsolo centrale. Tagliate la corteccia esterna e fatelo a cubetti, eliminando la parte finale del gambo, che riconoscerete perché oppone più resistenza del resto al coltello.
A questo punto lessatelo in acqua bollente salata per non più di 5 minuti assieme alle foglie. Toglietelo dalla pentola con una "schiumarola", senza buttare l'acqua di cottura che utilizzerete per cucinare la pasta secondo i tempi indicati sulla confezione.
In una padella soffriggete uno spicchio di aglio e, se non ci sono bambini a tavola, un pezzetto di peperoncino. Aggiungete la pancetta affumicata a cubetti e fate rosolare per un paio di minuti.
Aggiungete i broccoli, ripassateli per 5 minuti e, quando saranno al dente, aggiungete le orecchiette.
Saltate bene per insaporire la pasta e servite.
Spolverate con un po' di ricotta salata o pecorino.
Buon appetito!









lunedì 23 novembre 2015

Un classico per tutte le occasioni: Chianti Classico Riserva D.O.C.G. 2009 Rocca delle Macìe




Il Chianti è il Chianti, un classico per eccellenza, vino di portata storica come pochi altri, notissimo a tutti, proveniente da una delle zone vinicole più famose al mondo. Come per ogni classico, ne esistono edizioni tascabili, in brossura e di poco pregio, che perdono facilmente le pagine, e edizioni da collezione per bibliofili appassionati e dal prezzo proibitivo. Tra i due estremi, un po' di tutto. Quella di oggi, secondo me, è una delle migliori proposte sul mercato, e di facile reperibilità per giunta, che un vero appassionato dal portafoglio normodotato può cogliere per gustarsi un Chianti Classico Riserva con tutte le carte in regola. Il Chianti Classico Riserva di Rocca delle Macìe è il prodotto di una grande azienda, grande per dimensioni e, in alcuni casi, per risultati. Parliamo di una famiglia che ha a disposizione 600 ettari di vigneti in Toscana, roba non da poco, e che ha un ruolo di rilievo nell'offerta di bottiglie a livello nazionale e internazionale. I loro vini si trovano facilmente ovunque, e non solo in Italia. Io, che dei grandi numeri ho sempre sospetto, un pregiudizio sulla difficoltà di coniugare quantità e qualità di cui non riesco a liberarmi, avevo qualche perplessità quando ho avvicinato per la prima volta questo vino qualche anno fa. Ma sono stata costretta a ricredermi. Vale quello che costa e anche di più. Con una piccola aggiunta di altri vitigni, cabernet sauvignon e merlot, il sangiovese di questa bottiglia, con i suoi sei anni sulle spalle, presenta un color granato dall'unghia arancio e si muove su archi ampi e lenti mentre lo ossigeno nel bicchiere. Ha un profumo pieno e articolato che invita subito a avvicinare le labbra. Si sente l'influenza del legno grande che conferisce ai toni di spezie e pepe - sopra alla ciliegia, alla rosa e alla decisa nota alcolica - quel carattere austero e elegante dei vini classici. Bevendolo si avverte la calda e asciutta potenza del vino, il gusto è meno complesso degli aromi colti dal naso, ma si sviluppa nelle note fondamentali già colte con una pulizia esemplare e termina abbastanza lungo con tannini affilati e fini. Un vero classico, da non mancare se vi si presenta l'occasione e se il gallo nero rientra nei vostri piani per la serata. Il prezzo di 15€ è ampiamente giustificato per un vino che vale i suoi buoni 88/100.

domenica 22 novembre 2015

La vera cioccolata in tazza in soli tre ingredienti


La vera cioccolata in tazza si prepara... senza preparati! Non è difficile, non è lungo, non sporca di più. E allora, perché no? Più gusto e meno ingredienti, sapore e genuinità assicurati. Su, rimboccatevi le maniche e fate felici i vostri bambini. Quelli piccoli e quelli già cresciuti.
Gli ingredienti sono tre: cacao  amaro in polvere della migliore qualità, latte intero e fecola di patate (in alternativa amido di mais). Se volete esagerare, panna montata in casa e lingue di gatto... nel mio caso, quelle bicolori senza glutine di Laboratorio Mediterranea.


 
Ingredienti per 1 tazza

150ml di latte
1 cucchiaio  di cacao in polvere puro
1 cucchiaio di fecola di patate
(in alternativa amido di mais)
zucchero a piacere
panna da montare a volontà
biscotti a volontà



Versate 120ml di latte freddo in un pentolino e aggiungete il cacao setacciato, poco alla volta, mescolando con una frusta. È importante che il cacao venga aggiunto al latte freddo, altrimenti farà grumi.
Accendete la fiamma e scaldate bene. A parte, sciogliete nel latte rimasto la fecola di patate, poi aggiungetela al composto latte/cacao sulla fiamma. Anche qui è importante che la fecola di patate (o la maizena) venga sciolta prima in un liquido freddo, solo dopo è possibile aggiungerla al latte bollente.
Continuate a mescolare fino a raggiungere la consistenza desiderata, senza dimenticare che raffreddandosi la vostra cioccolata si addenserà ancora un pochino.
Le dosi sono indicative per una cioccolata di media densità. È possibile aumentare la quantità di fecola per una cioccolata più densa, anche a preparazione inoltrata.
Se amate la cioccolata amara non vi resta che montare la panna e guarnire con un bel biscotto, altrimenti aggiungete uno o due cucchiaini di zucchero di canna.
La semplicità della preparazione esalta il sapore e la qualità degli ingredienti, quindi tanto più sceglierete delle buone materie prime, tanto più gustosa sarà la vostra merenda. Io ho utilizzato  cacao  in polvere Venchi e panna fresca Berchtesgadener (disponibile nei negozi Bio anche senza lattosio).






















venerdì 20 novembre 2015

Zuppetta di funghi e fagioli


I cibi semplici sono sempre i più graditi, sono quelli che ti fanno sentire a casa e che riscaldano "il focolare domestico". Le zuppe le adoro tutte, ricreano le atmosfere di una volta, tempi in cui il cibo era genuino e la famiglia si riuniva tutta assieme attorno al tavolo della cena.
Per questa ricetta ho usato dei semplici funghi coltivati, più economici e di più facile reperibilità rispetto ai porcini. Ho scelto degli champignon grandi e di colore marrone scuro, perché più saporiti di quelli bianchi. Ovviamente gli amanti dei funghi porcini possono usate i loro preferiti, magari con una grattugiata di tartufo alla fine.

Ingredienti per 4/5 persone
300g di fagioli secchi misti 
300g di funghi coltivati scuri
1 l di brodo vegetale
uno spicchio d'aglio
un rametto di rosmarino
una foglia di alloro
olio, sale, pepe
4 fette di pane tostato
1 costa di sedano

Lasciate i fagioli in ammollo come indicato sulla confezione, generalmente 8 ore o tutta una notte.
Scolateli, lavateli e cuoceteli in una pentola, partendo da acqua fredda e fino a 40 minuti dopo l'ebollizione, insieme a una foglia di alloro e un pezzetto di cotenna.
Dosate l'acqua in modo che quando i fagioli saranno cotti, questa sia stata completamente assorbita. All'inizio non superate il livello dei fagioli con più di un centimetro di acqua, poi aggiungetene in cottura a mano a mano che si assorbe. Mi raccomando, non aggiungete acqua fredda! scaldatela a parte in un piccolo pentolino e,  quando bolle, aggiungetela alla pentola dei legumi.
In un tegame scaldate qualche cucchiaio di olio evo e soffriggete uno spicchio d'aglio. Unite i funghi puliti e tagliati a fettine e fate andare a fuoco vivace per qualche minuto, dopodiché aggiungeteli ai fagioli assieme al brodo bollente, includendo bene l'olio con cui sono stati spadellati. Lasciate bollire per una ventina di minuti.
Con un frullatore ad immersione frullate circa metà della zuppa. Aggiungete la costa di sedano lavata e sminuzzata grossolanamente, pepate e servite con un filo di olio evo a crudo e una buona fetta di pane tostato.


 

Veneto Rosso I.G.T. Carménère Più 2012 Inama



Il carménère è un migrante ante litteram, vitigno proveniente dall'antico territorio albanese in epoca romana e che da allora ha raggiunto perfino le pendici delle Ande, in Cile, dove ha le sue più estese coltivazioni. In Italia ha trovato la sua massima espressione sui terreni del settentrione, soprattutto in Veneto. Qui, nelle terre dei colli Berici, sembra esprimere il meglio delle sue capacità enologiche. L'azienda che produce il vino di oggi, Inama, è una solida realtà dell'area, nota soprattutto per il Soave, ma che offre anche una serie di memorabili rossi. Bevo spesso i loro vini, che trovo di gran qualità e di giusto prezzo. Il Carménère Più è la versione in blend con uve merlot e dal sorso più facile della D.O.C. Riserva Oratorio San Lorenzo, che è invece in purezza. Vi consiglio anche un loro altro grande vino, il Binomio, esperimento di collaborazione con una validissima cantina abruzzese, La Valentina, e che ritengo, nell'annata 2009, una delle più emozionanti vinificazioni del montepulciano che ho mai assaggiato, roba da 93/100 o giù di lì. Tutto ciò per dire che il nome Inama lo ritengo una certezza nella scelta di una buona bottiglia. 
Ma è ora di stappare il mio gioiellino che si versa con un colore rubino, profondo e scuro di toni violacei. Il profumo è ampio e elegante, speziato e complesso, la frutta è accompagnata da pepe, cacao, con note finali che ricordano la riduzione di un sugo di carne con erbe da cucina. Lo assaggio e lo apprezzo subito per la morbida acidità, ossimoro che ne attesta l'estremo equilibrio. Anche al palato è piacevolmente complesso, i tannini sono elegantemente accennati anche se il finale non è lunghissimo. È vino elegante, lo vedo più adatto a carni al sugo e maiale che a arrosti e formaggi stagionati dove preferisco un corpo maggiore. Una bottiglia che vale sicuramente la pena provare per i suoi 11€. 87/100.

giovedì 19 novembre 2015

Piccolo mattatore: Lazio I.G.T. Tellus Syrah 2013 Falesco



Questa è una bottiglia che incontrerete di sicuro. È un vino che vende e che si sa vendere. Si vede già dalla sua inconsueta veste di vetro che è pensato per piacere a un pubblico numeroso. L'etichetta ha la stessa impronta, studiata per essere gradevole e visibile, moderna e stilizzata per non intimidire il consumatore non abituale di vini di qualità. Il prezzo, poco più di 8€, è adeguato per accompagnarsi al packaging e mirare al target, come direbbe il marketing manager di turno. Insomma, nel complesso, un vino progettato per essere un successo di vendita, come ci si aspetta per un figlio dell'azienda di uno dei più famosi enologi d'Italia. Ma dentro alla bottiglia, che cuore pulsa? Addomesticato per addomesticare palati poco inclini alle aristocratiche scontrosità di alcuni vini di valore o di vera generosità enologica a portata di tutte le tasche? Andiamo a assaggiarlo.

Il Tellus 2013 è un syrah in purezza che svolge solo un discreto affinamento in legno di secondo passaggio, non invadente. È di color rubino, con leggeri riflessi porpora, abbastanza denso ma sempre agile al ruotare del calice. Il profumo è ampio e di una certa complessità, bello per un vino in questa fascia di prezzo. Ha note di ciliegia, ma anche ricordi floreali, di rose sbocciate, e ancora spezie e toni appena accennati di oleandro. Il gusto è pieno, di frutta rossa, con un leggerissimo tono fumé, quasi di incenso, nel buon finale. Ricapitolando le sensazioni di degustazione, lo considero un prodotto di buon livello offerto a un prezzo interessantissimo, un buon modo per avvicinarsi all'enologia vera senza preoccuparsi troppo dell'acquisto. Se davvero dovreste incontrarlo, potete stapparlo senza esitazioni. In rete i punteggi per questa bottiglia sono alle stelle, anche sopra i 90/100. Io ritengo che un vino dalle indiscusse qualità non vada sopravvalutato, perché non deluda e ottenga tutto il successo che merita senza che le aspettative indotte finiscano per sminuirlo. Ma il marketing e il nome di famiglia chiedono molto. Per me i centesimi sono 86.


mercoledì 18 novembre 2015

Biologico laziale: Capolemole Rosso I.g.t. 2013 Marco Carpineti

 
A dire il vero non sono il tipo che si fa impressionare dalle dichiarazioni di intenti dell'agricoltura biologica. La provenienza e la cura del prodotto mi interessano molto, ma preferisco conoscerle di persona, quando posso, e attestarle con il gusto, sempre e comunque, piuttosto che affidarmi al potente marketing dei prodotti bio. 
Tuttavia ci sono aziende e produttori che dell'eliminazione degli artifici chimici hanno fatto una vera e propria filosofia, che va al di là delle certificazioni, già da tempi non sospetti e a questi va reso merito. Se, in più, come nel caso dell'azienda di Marco Carpineti si dichiara una attenzione speciale alla riscoperta e alla promozione di vitigni autoctoni e poco diffusi, l'interesse per la bottiglia che si sta per bere cresce. Il Capolemole Rosso, da uve montepulciano, nero buono e cesanese, è un vino dal prezzo contenuto che sta avendo un certo successo nella distribuzione e nella ristorazione laziale. Qui a Roma è facile trovarlo nelle carte dei vini e è altrettanto facile che vi venga consigliato. Avevo già avuto modo di gustarlo in altre occasioni e mi era piaciuto senza però entusiasmarmi, un buon vino al giusto prezzo. In questa occasione l'ho preso per accompagnare una semplice cena composta da una zuppa di prosciutto, funghi e fagioli seguita da taglieri di formaggi. Versato nel bicchiere ha un colore rubino ma tendente decisamente al porpora, un bel colore vivo per un liquido non troppo denso e di media trasparenza. Aspetto da vino schietto e abbastanza giovane. Anche i profumi hanno qualcosa di giovane, ciliegia ben marcata ma con una leggera nota vinosa. Poi si apre su sfumature di legno e pepe, presenti ma non troppo complesse. Sorseggiandolo, si ritrovano i sapori della frutta rossa in un gusto generale asciutto e di gradevole acidità, ma anche caldo e pulito. Il legno, che pure è utilizzato in cantina, non eccede affatto nel mostrarsi e lascia solo eleganti sfumature in un quadro generale di buona qualità anche se dai toni non troppo profondi. È sicuramente un vino ben fatto, che non delude, per un prezzo giustificato anche dalle attenzioni "biologiche" in vigna, garanzia di un prodotto di salutare fattura. A mio giudizio, 84/100. Potete trovarlo in enoteca intorno agli 11€.

lunedì 16 novembre 2015

Degustare gli arrosticini - Il Signore delle Pecore



E sì. Perché mangiarne può capitare a tutti, purché si giri in Abruzzo o si trovi qualche localino che ne prepari in altre regioni. Ma di quelli seri, che meritano attenzione da parte di un buongustaio, non è che se ne trovino poi molti. Il piatto, se è consentito chiamarlo così date la materia prima poco lavorata e la presentazione da fast food, è di una primitiva semplicità: piccoli pezzi di carne di pecora, alternati a pezzetti di grasso, infilzati su uno spiedino di legno e cotti alla brace. Ma, come in tutti i casi in cui la semplicità della pietanza è un pregio, sono i dettagli che fanno la felicità dell'intenditore. 
La carne, per cominciare, non è tutta uguale. Solo quella di qualità migliore e meglio lavorata darà un degno risultato alla prova del fuoco, che, tanto per mettere le cose subito in chiaro, va rigorosamente ottenuto dal carbone di legna. I migliori fornitori di arrosticini scelgono le loro carni a partire dal pascolo. Poi, il taglio e l'infilatura sugli stecchi fanno la differenza tra il prodotto di massa, da sagra di paese, e quello gourmet. Il vero arrosticino è solo quello preparato a mano, tagliato al coltello e non a macchina e infilato da mani esperte con la giusta alternanza di parti magre e grasse. Degli altri non vale la pena parlare. È chiaro che il prodotto autentico è più pesante, ogni pezzo pesa circa 30g contro i 20g scarsi degli arrosticini fatti a macchina, e più grosso. Questa caratteristica, insieme alla sapiente alternanza del grasso, consente una cottura uniforme, senza parti così piccole da finire carbonizzate, poco salutari e dal sapore spiacevole e forte. I bocconcini saranno invece morbidi e gustosi e manterranno il calore di cottura più a lungo una volta serviti a mazzi avvolti nella stagnola o nei tradizionali bricchetti di coccio.

Tra  produttori di arrosticini crudi, per la cottura fai-da-te, e  locali che li propongono già cotti ho maturato una vastissima competenza in anni e anni - troppi anni ormai - di frequentazione dei lidi abruzzesi. Uno è di sicuro il mio preferito. Lo considero il miglior produttore di arrosticini da cuocere d'Abruzzo, dunque... del mondo. Il Signore delle Pecore è una macelleria con sedi a Pescara e Montesilvano che ha fatto della vendita di carne ovina il suo segno distintivo e la base del suo successo. Ma la cosa di cui volevo veramente parlarvi è la sua piccolissima bottega di ristorazione veloce al centro di Pescara, Bello di Notte. Quello è il posto dove andare se vi trovate nella città marinara d'Abruzzo e volete raccontare agli amici di aver assaggiato il meglio degli arrosticini abruzzesi. È lì che i semplici spiedini della tradizione pastorale si degustano. Sempre che vi accontentiate di sedervi ai pochissimi tavolini all'aperto servendovi da soli e siate disposti ad accompagnarli con vini della tradizione locale nelle loro versioni più semplici, come ho fatto io nell'ultima recente occasione optando per un Montepulciano Masciarelli, tutto sommato dignitosissimo per un robusto pasto all'aperto.
Ah, dimenticavo: un assalto alle carni arroventate condotto da due adulti affamati e tre piccoli lupi, per una cena da levare ogni appetito, non ha superato i 65€ comprese le bevande e gli accompagnamenti. I pastori facevano festa con poco.

La Ribollita



La ribollita è un piatto povero della tradizione toscana, non certo una ricetta originale. Ma è un peccato che manchi sulle nostre tavole nelle giornate più fredde e, visto che le tradizioni si stanno un po' perdendo e che spesso le mie amiche me ne chiedono la ricetta, ho deciso di parlarne comunque. E' uno dei piatti sempre graditi in famiglia. Può, anzi deve, essere preparato in anticipo e "ribollito" al momento di servirlo.



                                                  Ingredienti per 5 persone:

                                                          600g di cavolo nero
300g di cavolo verza
200g di pomodori da sugo
250g di fagioli cannellini secchi
1 cipolla
2 carote
2 coste di sedano
1 porro
un rametto di rosmarino
un rametto di timo
     un rametto di maggiorana
                                                             una fetta di pane del giorno prima per persona
                                                     100 ml di olio evo
                                                        sale e pepe q.b.


Il primo ingrediente di cui dobbiamo occuparci sono i fagioli: teneteli a bagno dalla sera prima, poi, al momento di cuocerli, scolateli, lavateli e metteteli in una pentola con abbondante acqua fredda insieme a una foglia di alloro e a un pezzetto di cotenna di prosciutto. Accendete il fuoco e portate ad ebollizione, continuando la cottura fino a che i fagioli non saranno morbidi. Non lesinate sull'acqua perchè ne servirà per cucinare la vostra ribollita.
Adesso passate ad occuparvi delle verdure.
Lavatele accuratamente tutte quante.
Fate un bel trito di sedano carota e cipolla e mettetelo a soffriggere in olio evo.
Dopo un minuto o due aggiungete la parte bianca del porro tagliata a fettine sottili e lasciate appassire ancora per un paio di minuti.
Tagliate a listarelle la parte iniziale del porro - quella verde - e mettetela da parte - la aggiungeremo alla minestra assieme ai due cavoli.                               

Il cavolo verza: se ne avete comprato uno troppo grande vi consiglio di usare solo le foglie esterne. La nostra ribollita cuocerà a lungo, quindi possiamo tranquillamente usare le foglie più verdi e più dure, che con la cottura diventeranno morbidissime, lasciando il cuore più tenero ad altri piatti preparazione più veloce. Se invece avete una verza piccola trattatela come in foto: tagliate a pezzetti le foglie più esterne e spaccate in 4 il centro, dopodichè affettatelo con un coltello da cuoco.


Il cavolo nero: anche qui la lunga cottura ci consente di usare  la parte finale e più dura della foglia, basta che la tagliate a piccoli pezzetti (1). Tagliate a striscioline il resto della foglia (2).


1                                                    2
Ora le nostre verdure sono pronte per essere aggiunte al soffritto assieme all'acqua di cottura dei fagioli. Prelevatela con un mestolo dalla pentola dove avete fatto cuocere i cannellini e aggiungetela al tegame dove stà andando il soffritto. Aggiungete il cavolo verza, il cavolo nero e il porro.

Aggiungete anche i pomodori da sugo passati al passaverdure o, se preferite, qualche cucchiaio di una buona passata.
Preparate un bel mazzetto di timo e maggiorana e legatelo con uno spago da cucina al manico della pentola. In questo modo gli odori cuoceranno nella minestra ma fine cottura sarà facile estrarli.

Salate a piacere e lasciate cuocere a fuoco basso per almeno due ore, aggiungendo altra acqua di cottura dei fagioli se la ribollita si asciuga troppo.
Verso la fine della cottura aggiungete i fagioli e con un frullatore a immersione frullate una parte della minestra.
Strappate gli aghi ad un paio di rametti di rosmarino e tagliateli finemente, fin quasi a ridurli in polvere e aggiungeteli alla ribollita.
 Mescolate bene e servite in scodelline di coccio assieme ad una fetta di pane tostato.
Se il pane è del giorno prima, le bruschette verranno ancora meglio. Io al posto del pane utilizzo le freselle, ne metto una sul fondo di ogni piatto e ci verso sopra la zuppa bollente.
Condite con pepe e un filo di olio evo a crudo.
Buon appetito!











martedì 3 novembre 2015

Torta salata: radicchio e stracchino o patate e mortadella?



La ricetta di oggi ha lo scopo di testare un prodotto senza glutine già pronto: la pasta sfoglia. 
Io non amo i preparati, quasi mai ne faccio uso, ma la pasta sfoglia, si sa, non è facile da lavorare.  Senza glutine poi, le cose non possono che farsi ancora più difficili. Fino ad ora non avevo mai trovato una pasta sfoglia di buona qualità, ma questa di casa "Belli Freschi" ha avuto invece un'ottima riuscita. Ancora una volta grazie a Valentina del Mondo senza Glutine Boccea per l'ottimo consiglio.
 




 Ingredienti
Una confezione di pasta sfoglia "Belli Freschi" 500g

200g di radicchio trevigiano tardivo
 100g di stracchino
qualche noce sbriciolata
olio q.b.
sale e pepe

100g di mortadella
4 patate di media grandezza
una noce di burro
100ml di latte 
noce moscata
 un tuorlo

 

La confezione di pasta sfoglia Belli Freschi è composta da 4 dischi da 22cm di diametro per 125g ciscuno. Li ho usati per realizzare due torte differenti, mettendo il ripieno tra due strati e chiudendo i bordi.







 Radicchio, stracchino e noci:

Lavate il radicchio e tagliatelo a pezzetti.
Saltatelo in padella con qualche cucchiaio di olio fino a che non risulta ben appassito.
Aggiungete lo stracchino e fatelo sciogliere sul fuoco. Potete usare un goccio di latte per regolare la cremosità del composto.
Aggiungete le noci sbriciolate, salate e pepate.




                              Mortadella e patate:
 
Lessate le patate, pelatele e schiacciatele.
Sminuzzate la mortadella e mescolatela alle patate schiacciate, aggiungendo il latte, il burro e una generosa grattata di noce moscata.
Amalgamate bene assicurandovi che si sciolga il burro.




A questo punto i due ripieni sono pronti. Tuttavia consiglio di passare in forno, per 5 minuti a 180°,  il disco che farà da base alla nostra torta salata da solo, senza il peso del ripieno che  impedirebbe ai vari strati di sfoglia di separarsi e gonfiarsi. 
Cospargete la base parzialmente cotta con il ripieno, coprite con il secondo disco, schiacciate i bordi, spennelate con il tuorlo e infornate per 15-20 minuti, fino a che la superficie del nostro rustico non risulti bella dorata.

Sfornate, fate le porzioni e servite.
Ancora una volta buon appetito!





sabato 31 ottobre 2015

Lequilibrio: Barbera d'Asti D.O.C.G. Superiore 2011 - Montalbera


Non so proprio perché il marketing di Montalbera abbia ingaggiato una guerra con gli apostrofi, ma i creativi, si sa, amano farsi chiamare creativi proprio perché distruggono. Quelli di Montalbera hanno deciso di disintegrare l'apostrofo, roba vecchia, che sta là ma non si sente. Un orpello, insomma, inadatto a vini eleganti nei quali si deve sentire tutto e solo quello che c'è. Forse è così, a giudicare dal contenuto delle bottiglie, che va interpretata la scelta grammaticale. Sia come sia, i loro vini mi piacciono molto. Il Ruché Laccento si è guadagnato senza difficoltà uno dei miei migliori giudizi e rimane un indimenticabile. La Barbera Superiore Lequilibrio di oggi promette altrettanto.

Rubino tendente al granato, di trasparenza media e bella densità, si apre con un bel profumo ampio e elegante di ciliegia e mora, con note evidenti di spezie, cuoio e tabacco. Quando si assaggia stupisce: non è un vino lungo e protratto quanto il naso potrebbe far immaginare. Al contrario è rapido, scattante per acidità, pulito e molto elegante. Note di spezie, ancora di cuoio e tabacco e soprattutto di liquirizia esplodono veloci nella sorsata e chiudono senza strascichi con una trama tannica perfetta. Vino di classe e di fascino, una barbera non semplice per la complessità di aromi che offre, ma semplificata dal lavoro degli enologi che da un carattere di fondo austero e deciso traggono un prodotto che si beve con gradevole facilità. La bottiglia va via che è un piacere e può accompagnare con classe tanta della migliore cucina. Il mio punteggio di 89/100 non raggiunge però quello estremo di alcuni esperti, cui forse l'eliminazione dell'apostrofo fa un po' perdere l'equilibrio. 12€ ben spesi.

venerdì 30 ottobre 2015

Il più alto: Vallée d'Aoste D.O.C. Blanc de Morgex et de La Salle Rayon 2014



Un primato lo ha già d'origine. Viene dai vigneti più in quota d'Europa, dove l'aria è sottile e la fillossera non è mai giunta. Su piede franco e con minori necessità di pesticidi, lì dove è il clima stesso a proteggere dagli attacchi nocivi, fruttifica il prié blanc, vitigno autoctono valdostano coltivato esclusivamente nella Valdigne. 
La bottiglia di oggi, il Rayon, è prodotta dalla più significativa cooperativa locale, la Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle che, date le caratteristiche estreme dei vigneti, può contare su un maggior numero di produttori che di ettari vitati e che si affida solo al priè blanc per dare vita all'intera sua offerta di vini.
Il Rayon è un vino che adoro da molti anni e che non mi ha mai deluso. Mi delude invece la nuova etichetta che trovo molto più banale e meno allegra della vecchia, oltre che meno in tema col nome.

Ma è questione di gusti. Piuttosto assaggiamo quest'ultima annata.

La trasparenza è quella dell'aria alpina, totale. Il colore tenue, quasi assente, con riflessi paglierini e verdognoli, diafano. La consistenza è da acqua sorgiva, leggerissima. Ma all'olfatto si apre un profumo intenso e sottile, molto fine e elegante, con i suoi ricordi di lieviti, di fiori bianchi, di frutta gialla, di erbe e leggermente agrumato, con quest'ultima nota un po' meno evidente di come la ricordassi in annate precedenti, dove dominava sulle altre sia nel naso che in bocca. All'assaggio si presenta fresco e leggero in una entrata di agrumi, poi si arrotonda elegantissimo nel finale. Possiede acidità e mineralità gradevolissime, coccola con la sua leggerezza preziosa e profumata. Un vino meraviglioso e inconfondibile, ve ne innamorerete di sicuro su semplici piatti di pesce. Il mio voto è di 88/100. Per un vino dalla coltivazione così estrema, il prezzo è piuttosto contenuto, 13€ circa in enoteca.

martedì 27 ottobre 2015

Un piccolo grande vino: Lazio I.g.T. Cenereto 2014 Trappolini



Dalle vaste tenute della finanza che danno origine al Nobile di Montepulciano Fattorie del Cerro, torniamo a vigneti di famiglia: la famiglia Trappolini,  viticultori in Castiglione in Teverina, nell'alto Lazio. Dalla tradizione contadina degli avi hanno sviluppato una bella azienda che produce ottimi vini dal prezzo molto contenuto. Il loro sangiovese in purezza, il Paterno, è un vino che ha meritato premi prestigiosi senza per questo montarsi la testa, un campione che  ci si beve per soli 15€. Altrettanto gradevole e speciale l'aleatico Idea, vino dolce ma non sdolcinato, ottimo compagno di meditazione dai profumi particolari e dal sorso mai stucchevole, ideale su crostate di visciole e ricotta.
Ma il vino di oggi è ancora più modesto e tuttavia validissimo. Il Cenereto si trova intorno ai 5-6€ in enoteca e, nella sua semplicità, è un grande compagno di bevute.
Da uve sangiovese e montepulciano vinificate in acciaio, ha un giovanile colore porpora, abbastanza comune e intenso, e un corpo di media densità. Il profumo è molto profondo per un vino così semplice, stupisce per ampiezza, ma non per complessità. È un bell'aroma, un po' giovanile e vinoso, su un'unica nota di frutta, di ciliegia matura su una morbida vena alcolica, ma piacevole e equilibrato. Al palato è morbido eppure fresco, estremamente bevibile, un po' rapido nel gusto ma con un godibile retronaso ammandorlato e un tannino ancora un po' brusco ma nobile, che si stempera in una persistenza decisamente lunga per un vino di fascia base.
In conclusione, è uno dei migliori compagni che ho trovato per la cucina di tutti i giorni, ottimo su saporiti ragù, primi piatti di sostanza, formaggi e piatti di carne schietti e semplici. Uno dei più azzeccati acquisti in bottiglia per i pochi euro che costa. Per me, 84/100 li merita tutti.

sabato 24 ottobre 2015

Un vino noto: Nobile di Montepulciano D.O.C.G. 2012 Fattorie del Cerro




Oggi parliamo di un vino piuttosto noto, uno dei prodotti bandiera di una grande realtà del vino. Tenute del Cerro è un gruppo che rappresenta cinque tenute agricole di vaste dimensioni che, per quel che riguarda il vino, assommano a ben 300 ettari di produzione distribuiti tra Toscana e Umbria. Si tratta di una grande azienda con dimensioni produttive, iniziative di marketing e piani industriali, sviluppati in ottiche moderne e globali. Tutto il contrario, insomma, dei piccoli produttori che tanto mi piace scoprire, quei coraggiosi artigiani del vino che coltivano con dedizione e orgoglio i loro pochi ettari di preziosa vigna. Vero è che la qualità può talvolta albergare anche in produzioni più estese e Fattorie del Cerro, una delle tenute del gruppo, rappresenta una delle maggiori realtà del vino Nobile di Montepulciano anche nei giudizi della critica.
Il Nobile di Montepulciano D.O.C.G. di fattorie del Cerro è un vino molto ben giudicato e spesso premiato. Per assicurarsi che i risultati derivino dalla validità del prodotto piuttosto che dall'ovvia potenza comunicativa dell'azienda, non resta che versarselo nel bicchiere. Ho a disposizione l'ultima annata, il 2012, forse un po' troppo giovane per poterlo apprezzare al meglio, ma tant'è.

Ha un colore rubino, di media trasparenza e dall'unghia tendente al rosa che ne testimonia l'adolescenza. Il corpo è medio, non troppo denso, ma il profumo è intenso e ampio di ciliegia e amarena con sentori floreali di rose e note molto sfumate di spezie e di smalto. Al sorso è subito fresco e secco, più amaro che dolce, rapido, vibrante e asciutto. Pulitissimo e affilato come un rasoio, lo scoccare di una corda di balestra, porta note finali minerali, quasi di polvere da sparo, sul veloce trionfo di amarena. Anche i tannini sono eleganti e asciutti e completano il profilo di un vino che è l'esatto contrario del vino "piacione", quello morbido, avvolgente, lento e vanigliato. È un bel vino deciso, elegante, sobrio e forte. 86/100 per i suoi 11€ di sicuro valore. La validità comunicativa dell'azienda che ha dietro e forse un assaggio a più lunga distanza dalla vendemmia, gli fanno guadagnare qualche punto in più nelle guide.


martedì 20 ottobre 2015

Pane al sorgo


Non c'è niente da fare, non so resistere. Appena scovo un prodotto nuovo devo provarlo. È stato più forte di me: quando la mia amica Valentina di mondo senza glutine mi ha detto "mi è arrivata una farina nuova", ho risposto "dammela" senza nemmeno guardare. Poi l'ho guardata, ho letto "farina di sorgo" e ho pensato "e mo che ce faccio?" e mi sono risposta "È ora di sperimentare un nuovo impasto per il pane".  Dal mio pomeriggio domenicale da piccolo chimico è emerso il filone in foto.

Ingredienti

250g di farina di sorgo
125g di fecola di patate
125g di amido di frumento deglutinato (farina revolution)
1 bustina di lievito di birra
400g di acqua
25g di olio
1 cucchiaino di zucchero
14g di sale 

Settacciate assieme la farina, la fecola e l'amido. Unite l'acqua in cui avrete sciolto il cucchiaino di zucchero e amalgamate ben bene. Aggiungete l'olio e infine il sale, continuando ad impastare per alcuni minuti. .
Disponete in uno stampo da plumcake e fate lievitare per circa 45 minuti.
Infornate in forno già caldo a 200°C per almeno 45 minuti.
Sfornate, lasciate raffreddare e mangiate!
Il risultato per me è stato ottimo, il filone è lievitato meno di quello al mix di semi ma la crosta era decisamente più croccante. Per gli amanti del pane integrale questa è la ricetta ideale. 
Buon appetito!

domenica 18 ottobre 2015

Un altro Cesanese: Hernicus 2013 Coletti Conti


La scheda tecnica dell'Hernicus non dice molto. Ma il vino sì!
Di cesanese ho già parlato altre volte. È un vino che può riservare gran belle sorprese a prezzi modesti e rientra per questo nel genere di bottiglie di cui tratto più volentieri. Se ci fate caso, i giudizi sui vini che vi racconto difficilmente sono lontani da un buon punteggio e di rado sono eccelsi, diciamo sopra ai 90/100. Dipende dal fatto che io i vini li compro, per berli prima che per parlarne, perciò hanno tutti un buon rapporto qualità/prezzo già alla selezione. Difficilmente eccezionali, perché le eccellenze in genere costano, difficilmente deludenti perché cerco di bere bene. Se nella mia lista c'è un po' di monotonia nei giudizi, siete però certi di trovare quasi tutta roba buona a buon prezzo. Non è un'ottima ragione per seguirmi?
Ma veniamo a noi, anzi al Cesanese del Piglio D.O.C.G. superiore 2013 Hernicus. Che è il prodotto base di Coletti Conti, azienda in quel di Anagni i cui proprietari vantano, in una città papale, ascendenze papali. Sarà vero? Certo è che gli ecclesiastici, come tramandato da tanta letteratura satirica ma anche da oggettive testimonianze, di vino se ne intendono e se ne sono sempre intesi. Sarà per questo che dove del vino hanno segnato la tradizione i buoni risultati non mancano, come nelle terre del frusinate, regno del cesanese.
L'Hernicus ha una certa classe: un bel colore rubino di media trasparenza e una densità da vino di buon corpo lo presentano subito, appena versato. Il profumo ampio e fine, forte di ciliegia e rosa, si stempera in note di spezie, pepe e lontano chiodo di garofano, e termina in appena accennati idrocarburi. È un vino che mi appaga moltissimo al gusto, per equilibrio e eleganza rari in bottiglie di questo livello di prezzo. Fresco nonostante l'alcol elevato, morbido nonostante la nota sapida, armonico. Tornano sapori di ciliegia e spezie, che al palato tendono al tabacco, alla liquirizia forte con uno spunto strano, evanescente... quasi di fragola. È un vino fine e potente, dagli aromi decisi, piacevolissimi e molto particolari che lo fanno riconoscere. Mi piace sempre, dalla prima volta che l'assaggiai, molti anni fa, su uno spezzatino d'asino, a Paliano, più o meno nella sua terra. In questa annata, 88/100.

sabato 17 ottobre 2015

Non a caso, Enotria: Cirò Superiore Riserva Duca Sanfelice 2012 di Librandi





Chi mi legge avrà capito che del vino amo anche quel suo rimandare all'antichità, ai miti e alle leggende. Quando una bottiglia, per un verso o per l'altro, a torto o a ragione, è capace di solleticare la fantasia e di farmi immaginare antica gente e antichi luoghi in una lunga tradizione di bevute e giorni rallegrati dall'uva, non posso fare a meno di godermela di più. Il Cirò Rosso Classico Superiore D.O.C. Riserva 2010 Duca Sanfelice, con un nome per esteso lungo quanto una quaresima, è uno di questi. Prodotto da Librandi, cantina di cui ho ben parlato in occasione di un'altra bevuta di gusto, viene direttamente dall'antica Enotria, la terra mitica di Calabria che dal vino prende il nome e che al vino dà vita, e riporta il pensiero a tempi lontanissimi in cui vigneti rigogliosi rappresentavano la felicità in terra. L'Enotria era il paese magico dove scorrevano fiumi di vino - in effetti, sembra esistessero veri "enodotti" per trasportarlo dalle colline ai porti - e la vita dei residenti era quella piacevole per antonomasia, sibaritica.

Oggi che gli enodotti sono sostituiti da gasdotti e che l'Enotria, raggiunta, forse, dal progresso o dal progresso dimenticata, ha perduto l'ubertosa ricchezza di un tempo, facciamoci un bel bicchiere di Cirò, il mitico vino olimpico Krimisa, in memoria di quei tempi antichi e arretrati in cui essere un sibarita non era ancora peccato.
Il Duca Sanfelice è un vino da non mancare! Una grande soddisfazione e anche a buon mercato, 10€ di ottima enologia. Di un bel granato con riflessi aranciati, trasparente, vivo e di buona densità, ha già l'aspetto del vino serio. Ma è il profumo che avvolge, penetrante, ampio e complesso, di ciliegia, spezie e pepe nero, con una nota molto particolare e persistente, leggermente muschiata, che ricorda gli aromi del sottobosco dopo la pioggia e un pizzico di ricordo di salamoia. Al gusto è un vino vivo, fresco ma rotondo, di buona acidità, dove la frutta rossa è accompagnata da toni secondari di liquirizia su una importante nota alcolica e il finale è lungo, su un retronaso ammandorlato e quasi fumè, e con un bel tannino vivace. È un vino molto piacevole e particolare, con toni suoi propri che lo distinguono e lo fanno apprezzare. Ci sono vini che danno tanta soddisfazione con poca spesa e questo è veramente un ottimo acquisto che raggiunge, a mio gusto ma senza temere critiche, gli 88/100. 

giovedì 15 ottobre 2015

Zuppa di fagioli, zucca e crudo di Parma.




Ancora una ricetta con la zucca, prodotto tipico di questo periodo dell'anno. Io la adoro, non solo per il sapore, ma anche perché è ricchissima di vitamine, facile e veloce da preparare, e si adatta a molte ricette. Inoltre l'arancione mi mette allegria!
Qualche anno fa era meno conosciuta e più economica, ora la troviamo più frequentemente sui banchi del mercato e il prezzo è leggermente salito. Sarà l'effetto Halloween? Forse, in ogni caso oltre alle lanterne ci possiamo preparare dei piatti sfiziosi, salutari, e cosa importante per tutte le donne che tornano a casa la sera tardi, che possono essere preparati in anticipo. Non c'è niente di meglio che tornare a casa, scaldare la cena e servirla in cinque minuti.
Le serate si fanno sempre più fresche e quindi le cene sempre più calde, ecco quindi la prima zuppa della stagione: zucca, fagioli e cubetti di prosciutto crudo.



Ingredienti per 4/5 persone

400g di fagioli secchi misti
(Borlotti, cannellini, neri, con l'occhio...)
300g di zucca senza buccia
1 gambuccio intero di Parma
(Circa 300g di prosciutto pulito)
1l di brodo vegetale
150ml di passta di pomodoro
2 scalogni
1 rametto di rosmarino
4 cucchiai di olio
Sale e pepe qb
1 frisella a testa



Mettete a bagno i fagioli per almeno 6 ore.
Metteteli in una pentola con il brodo vegetale freddo e accendete il fuoco.
Portate a ebolizione e fate sobbollire a fiamma bassa per circa 40 min, o fin quando i fagioli non risulteranno cotti. Se il brodo si asciuga troppo aggiungete un po' di acqua bollente per continuare la cottura.
In un altro tegame, se lo possedete di terracotta è il massimo, fate soffriggere gli scalogni tagliati a fettine e aggiungeteci la zucca tagliata a cubetti di mezzo cm.
Aggiungete anche i cubetti di prosciutto ricavati dal gambuccio, che avrete precedentemente pulito e tagliato. Consiglio di comprare uno di quei gambucci che vengono venduti interi sotto vuoto a circa 1/3 del prezzo dell'affettato, in questo modo risparmierete molto.
Fate insaporire bene mescolando con un cucchiaio di legno e contemporaneamente annusate i profumi, mette allegria!
Quando la zucca si sarà ammorbidita aggiungete i fagioli con il loro brodo di cottura che si sarà ridotto dell'80% circa.
Lasciate andare per una decina di minuti.
Togliete gli aghi ad un rametto di rosmarino e riduceteli in polvere con un coltello da cuoco affilatissimo, dopodichè uniteli alla minestra.
Il sale lo sconsiglio, c'è il prosciutto, ma una bella spolverata di pepe e un filo di olio a crudo rappresentano la  ciliegina sulla torta.
Io l'ho servita su delle friselle, ma alcune fette di pane bruscato vanno bene lo stesso.
Buon appetito!