mercoledì 29 aprile 2015

Polpettine panate di pollo e mortadella



Avete cucinato un bel pollo arrosto ma nessuno mangia il petto? Niente paura, trasformatelo in queste deliziose polpettine e finirà ancor prima di aver fritto l'ultima!

Ingredienti
1 petto di pollo intero
2 hg di mortadella
4 fette di pane raffermo 
(4 fette di panfette nutreefree per gli sglutinati)
100ml di latte
2 uova
panatura di mais tostato
olio per friggere


Il petto di pollo  può essere un 
avanzo dell'arrosto, provenire dal brodo o essere cucinato appositamente per realizzare questa ricetta (in questo caso compratelo a fette e fatelo ai ferri). Insomma, quando avete tra le mani un petto di pollo cotto, approssimativamente intorno ai 400g., sfilacciatelo con le mani e frullatelo assieme al pane e alla mortadella. Mettete tutto in una ciotola e amalgamatelo con il latte e un uovo, mescolate e fate tante piccole palline della grandezza di una noce oppure, se preferite,  delle polpettine schiacciate. Passatele due volte nell'uovo e nel mais e friggetele in abbondante olio. Servite caldissime.
Possono servire per un aperitivo con gli amici, per una festa con i bambini o per una cena in famiglia quando vogliamo trasgredire con qualche caloria in più.  Ancora una volta buon appetito!



martedì 28 aprile 2015

Rosso delle Venezie I.G.T. Vertigo 2012 - Livio Felluga

Domenica sera ho cenato con un piatto semplice, un filetto di maiale al vino che le bambine hanno voluto contornato, un po' banalmente, da qualche chilo di patate al forno. Per una carne bianca ma saporita come quella di maiale cercavo un vino di sufficiente complessità e con un tannino adeguato ad accompagnare la salsa. La scelta è caduta su un Vertigo 2012 - Livio Felluga  (con un nome simile dove potevo fotografarlo se non sul davanzale?), un Rosso delle Venezie I.G.T. da uve merlot e cabernet sauvignon. Il primo vitigno, di coltivazione piuttosto diffusa in quel territorio, conferisce in genere morbidezza e fruttosità al vino, mentre il secondo dona complessità e struttura, un'accoppiata che si ritrova spessissimo nella pratica enologica. Il Vertigo ha un bel colore rubino, tendente al violaceo e con un'unghia rosata. Ha una trasparenza pulita, ma non sottile e forma archetti stretti e non troppo densi. Il profumo è armonico, di amarena e ciliegia un po' sfumate, non cariche, è piacevole e  non copre gli aromi delicati del maiale al vino. In bocca è sapido e piuttosto fresco nonostante il merlot - la cui morbidezza emerge solo più tardi e forse un po' troppo delicatamente - e nonostante il parziale affinamento in legno, le cui note sono solo sfumate. I tannini sono molto ben temperati e contrastano alla perfezione la fluidità della salsa. Una caratteristica che ho notato bevendolo, prova di complessità e particolarità, è un leggerissimo retrogusto olfattivo di legno laccato proprio alla fine della persistenza degli aromi, che è piuttosto prolungata. Sicuramente è un vino valido e ben lavorato, adatto, a mio gusto, a piatti di carne in sughi senza pomodoro e a formaggi di media stagionatura. In enoteca dovreste trovarlo intorno ai 12€ ed è un bel bere.

lunedì 27 aprile 2015

Flan di pere con salsa al cioccolato bianco





Ingrredienti per 6 cocottine:
1 pera grande o due piccole
3 uova
100ml di panna
100ml di latte
3 cucchiai rasi di zucchero
200g di cioccolato bianco

Tagliate le pere a piccoli cubetti e divideteli nelle 6 cocottine.
Con una frusta elettrica sbattete le uova con lo zucchero. Unite poi la panna e il latte continuando a mescolare per un paio di minuti, fino ad ottenere un composto spumoso. Distribuitelo sulle pere negli stampini e infornate a 180° per 30min.
Nel frattempo sciogliete in un pentolino il cioccolato con 50ml di latte.
Sfornate i piccoli flan, lasciateli raffreddare un poco e, dopo averli impiattati, guarniteli con la salsa al cioccolato bianco. Io metto sempre una spolveratina di cacao per dare un pò di colore.
Questo dessert è facile e veloce e ha avuto sempre un gran successo con i miei ospiti, spero anche con i vostri!

domenica 26 aprile 2015

Il sangue dei monti - Torrette D.O.P. 2012 Les Crêtes

Vi anticipavo ieri, in abbinamento al  tortino di zucchine con provola e speck, una bella bottiglia di Torrette D.O.P. 2012 - Les Crêtes. Il Torrette è uno dei più tipici rossi valdostani, realizzato con un 70% di petit rouge, vitigno proprio della vallata, e un blend di altri autoctoni per il rimanente 30%. Un vino che nasce quasi in quota, tra i 600 e gli 800 metri, in un paesaggio subalpino da cui prende mineralità e freschezza, come fosse davvero il sangue che scorre nelle vene dei giganti di pietra che lì formano gli orizzonti. Il Torrette 2012 di Les Crêtes, azienda vinicola di Aymavilles tra le più note della regione, ha un bel colore rubino leggermente tendente al violaceo, di trasparenza cupa. Non è molto denso nel bicchiere, più che la potenza del sole ha catturato la leggerezza dell'aria montana, ma il naso è molto intenso e abbastanza complesso, con profumi di ciliegia e di spezie leggere e una dominante di rosa in sfioritura sostenuti da un armonico tono alcolico. Meno convincente l'assaggio per questa annata, in passato ne ho bevute di migliori tanto che questo Torrette è sempre stato tra i miei vini preferiti per la sua fascia di prezzo. Non che il 2012 non sia piacevole, solo che al gusto non si ritrovano tutte le promesse degli aromi, come accadeva in passate versioni, e il vino risulta più semplice e asciutto. Al primo sorso spiccano buone acidità e sapidità - il terreno e il clima si sentono - e un tannino rapido, che si avverte netto ma non perdura. Migliora molto sul piatto, che accompagna bene, acquistando morbidezza nel confronto con lo speck del tortino. Per concludere, un buon vino di territorio che continuo a apprezzare, ma che spero ritorni alla estrema piacevolezza che ricordavo. Resta comunque un buon acquisto per i suoi 10€.

sabato 25 aprile 2015

Zucchine speck e provola



Ingredienti
2kg di zucchine tonde
200g di speck
350g di provola affumicata
olio qb
pepe a piacere
sale, assolutamente no!

Chiamatelo tortino, chiamatelo sformato chiamatelo come più vi aggrada, quel che è certo è che vi piacerà!
Piatto veloce? Dipende, se trovate qualcuno che vi griglia le zucchine è velocissimo, potete arruolare chiunque, un marito con qualche cosa da farsi perdonare, una suocera invadente che è meglio tenere impegnata, una figlia ansiosa di guadagnarsi la paghetta... fate voi, una volta grigliate le zucchine siete a cavallo.
Allora, il procedimento è facile: prendete delle zucchine tonde, affettatele sottilmente con un coltello a lama seghettata (va bene anche quello da pane se non avete nient'altro a disposizione), grigliatele - o meglio fatevele grigliare - e, in una pirofila, disponete uno strato di zucchine grigliate, uno di speck e uno di provola grattugiata. Continuate ad alternare gli ingredienti fino a formare almeno quattro/cinque strati. Terminate con abbondante provola. Infornate per qualche minuto a 180° per far sciogliere il formaggio. Pepate a piacere ma non salate perché lo speck non perdona.

Per grigliare usate una bistecchiera in ghisa, scaldatela bene, spruzzatela di olio e, mantenendo la fiamma vivace, passateci le fette di zucchine con rapidità, girandole non appena compaiono i segni della grigliatura.
Un consiglio per fare le porzioni: una volta sfornato tagliate il tortino con le forbici e non con il coltello, farete metà della fatica.
Buon divertimento e buon appetito!

In abbinamento: Torrette 2012 - Les Crêtes... ma ve ne parlo domani.

Re per una notte - alloggiare al Castello di Fosdinovo



Sarete d'accordo con me che c'è qualche differenza di esperienza sensoriale tra un bicchiere di buon vino gustato in tinello e lo stesso bicchiere, dello stesso vino, assaporato sugli spalti del "vostro" castello mentre ammirate, lontano, il mare in fondo al paesaggio di valli, foreste e fiumi. O no? Il foodie-pensiero rifugge dal semplice buttar giù qualcosa di buono e si appassiona a una comunanza di sensi che avvicina il gusto alla vista, il piacere della tavola a quello dei luoghi.
La storia di oggi, per me, risale a un tempo lontano, quando la crisi ancora non sembrava poter mordere a fondo e molti più sogni erano realizzabili. Ma la racconto con piacere per chi tra voi può viverla oggi, magari al posto di altre, meno emozionanti, autogratificazioni.
Era il lontano 2009 quando venni a sapere di un posto magico e raro, di quelli che mi piacciono tanto, ricchi di storia e leggende, e tuttavia accessibile in un modo molto particolare: il Castello Malaspina di Fosdinovo.
L'antico maniero fa guardia alla valle del Magra, in Lunigiana, sin dal XII secolo, una delle meravigliose fortezze d'Italia e monumento nazionale... ma... e con ciò? Con ciò, il castellano (sì, perché la regale dimora è privata!) aveva da poco deciso di farsi ospite, aprendo le sue stanze a una attività di B&B. Tra scoprirlo e inviare una mail di richiesta è stato il tempo di un batter di ciglia. Il giorno dopo, mi risponde un anonimo interlocutore dicendomi che non c'è disponibilità di alloggio. Un po' infastidita dell'unica riga, credendo che il vero motivo del rifiuto dipenda dal timore per la presenza di bambini in un luogo tanto prezioso, rispondo chiedendo se sia proprio quella la ragione e spiegando che le figliolette, pur in tenera età, sono già avvezze a ben comportarsi nelle situazioni che lo richiedano. Indovinate chi mi risponde allora? Il Marchese Torrigiani Malaspina in persona, che di suo pugno mi verga una mail con principesche scuse per l'incomprensione, spiegandomi che il periodo non è adatto poiché, dati i volumi delle vetuste architetture, non è in grado di riscaldare l'intero maniero, ma che avrà piacere di ospitare bambini che si divertano a correre tra le vecchie armature non appena la stagione più mite lo consenta. Mi affido subito a lui per la scelta dell'appartamento migliore per le tre notti di soggiorno che prenoterò per il primissimo autunno. Siamo già amici.
Il tempo passa senza che mi chieda più che tipo di esperienza mi attende finché, in un assolato dopopranzo di inizio ottobre e dopo svariate ore di viaggio, guidati dalla ben nota lungimiranza di un navigatore satellitare, ci troviamo a aver percorso diverse centinaia di metri di una stradina del centro di Fosdinovo, in salita e tortuosa come il letto di un torrente, quando appare un cartello che indica una futura strettoia di un metro e settanta. Siamo imprigionati. Con la nostra auto larga quasi due metri, non riusciremo mai a tornar fuori in retromarcia. Ma, nel momento dello sconforto, un autoctono in siesta ritira la sua sedia dalla sede stradale per darci modo di passare e ci conforta indicandoci la piccola piazzetta dietro la prossima curva dove potremo a fatica, ma prima di giugere al blocco, invertire la marcia. Abbandoniamo l'ausilio tecnologico incapace di districarsi in quel dedalo di età medievale e, seguendo le indicazioni del buon uomo, troviamo una più agevole via al castello circumnavigando il paese. Di colpo mi appare la mole. Enorme. Non posso credere che qualcuno possegga ancora una cosa del genere! Non riesco a immaginarmi il padrone di quei 40 metri di torre.
Finalmente scendiamo, siamo stanchi e arriviamo all'enorme portone ma... è sbarrato e non c'è certo il citofono. Ci sentiamo un po' ridicoli, pellegrini questuanti alla porta di una fortezza, quando vedo un piccolo cartello che indica gli orari delle visite al museo e riporta un numero di cellulare. Chiamo. Sento lo squillo lontano, mi risponde una donna, provo a spiegare, ma si apre un'imposta parecchi metri più in alto e si affaccia una vecchia fantesca: "Si? Cosa volete?". "In realtà, saremmo i signori che hanno prenotato il soggiorno..." "Il marchese sta riposando, sapete, la signora aspetta un bambino e stanno dormendo. Volete che ve lo chiami?" "Fa nulla. Facciamo un giro del paese e ripassiamo fra un po." Così, la nostra avventura inizia con la visita del bel paesino di Fosdinovo, niente rispetto a quello che vedremo un'oretta più tardi quando il giovane marchese e la signora ci vengono incontro sullo scalone e ci accolgono come amici. Ci accompagnano ai nostri appartamenti, tre enormi camere comunicanti al secondo piano (Camera dei Pappagalli, Camera dei Santi e Camera Gialla) con finestre aperte a decine di metri dal suolo in antiche mura coperte d'edera. La vista spazia sull'immensa vallata e sul mare. L'arredamento e le suppellettili sono autentici e antichi, tutti oggetti con centinaia d'anni di storie da raccontare.
Ci consegnano le chiavi del maniero e ci mostrano i percorsi, che faremo fatica a memorizzare, tra sale, scale e ballatoi. Siamo gli unici ospiti e possiamo girare ovunque a piacere, la nostra ala è inaccessibile alle visite che avvengono in alcune ore della giornata e nessuno ci disturberà. Da lì in poi inizia un'avventura fantastica, non posso raccontarvi tutto, sarebbe troppo lungo. Ma immaginate di essere i padroni di un enorme castello con cortili, sala del trono, sale d'armi e antiche cucine, torrioni, spalti, camera di tortura (ancora attrezzata), sotterranei, loggette a strapiombo sulle valli e spalti... girarlo in pieno giorno, quando la vista spazia all'infinito da quella posizione dominante, più in alto del campanile della chiesa che vedete dall'alto delle vostre finestre, o in piena notte, sotto la luna che sbianca le pietre antiche delle coorti e delle mura. Be', gli eredi Malaspina vi ci fanno sentire, padroni. Le bambine sono impazzite di gioia, a giocare tutte sole alle principesse fra affreschi e giardini pensili, fra armi e... fantasmi! E sì, perché ci sono anche quelli, e documentati. Almeno due, quando andrete fatevi raccontare le loro storie... ma sono discreti e benigni, non temeteli, anche quando rientrerete la notte, al buio su per gli antichi scaloni, aprendo porte su cardini cigolanti, mentre gli sguardi vuoti delle armature vi scrutano alle spalle. Né disturberanno il vostro sonno, nella quiete perfetta di quelle stanze fuori dal tempo, cosicché la mattina seguente potrete gustarvi la magnifica colazione che troverete imbandita nella Sala da pranzo, dove il vecchio Marchese, seduto con noi come un nonno gioviale, ha raccontato alle bimbe dei delfini araldici che si nascondono tra le decorazioni delle porte e delle pitture prima di portarle a giocare con le tartarughe del giardino pensile.
Non vi dico di più, solo i vostri occhi potranno testimoniare a pieno dell'unicità del posto, in cui persino Dante ha alloggiato e scritto i suoi versi, e solo la vostra esperienza potrà far fede dell'amabilità di questi antichi signori che mi hanno offerto la loro dimora come a una vecchia amica al prezzo di un alloggio molto più comune. Non è una vera struttura alberghiera, per avere notizie precise sulla disponibilità e i prezzi dovete chiedere udienza ai regnanti. Ma ne vale assolutamente la pena, è un viaggio nel tempo che non dimenticherete per tutta la vita.

I dintorni offrono moltissimo da visitare, se avete la forza di liberarvi dall'incanto dei meravigliosi appartamenti, ma non ho trovato molti posti degni di una cena foodie a una distanza ragionevole dai bastioni. Le strade nei chilometri circostanti si perdono nei boschi e la sera sono buie come cinquecento anni fa. Però, se vi va di arrivarci, magari dopo aver visitato le famose cave come è capitato a me, posso consigliarvi il ristorante Venanzio, sulla piazza centrale di Colonnata, borgo apuano famoso per i due bianchissimi: il marmo e il lardo.
La cucina è di buona qualità, basata sul territorio, con piatti della tradizione rivisitati con gusto e semplicità e il lardo, campione di varie ricette, è di produzione propria, una squisitezza. Cercate di non bere troppo, anche se la cantina di Venanzio è una bella tentazione, perché per tornare sotto il tetto degli ospitali fantasmi la strada non è brevissima e attraversa boscose e impervie montagne.

mercoledì 22 aprile 2015

Quando si dice "cotto e mangiato" - Giuncata fritta






Facile veloce e adatta ai bambini.


Ingredienti
1 giuncata di latte vaccino
1 uovo
mais tostato per panatura
olio evo

Tagliate la giuncata a fette come in foto, passatele nell'uovo e poi nel mais per due volte. Friggete in olio evo e state tranquille, il formaggio non fonde durante la cottura.
Per rendere la ricetta ancora più gustosa tagliate le fettine più sottili che potete e mettetene due in coppia con del prosciutto cotto al centro.
Servite con una bella insalatina fresca e, se i bimbi gradiscono, con un cucchiaino di ketchup. Mi permetto di tirare in ballo questa salsa bistrattata perché ne ho scovata una veramente di qualità. Si tratta del ketchup all'aceto balsamico Ca' della Pasina, una ditta specializzata in salse. L'etichetta degli ingredienti sembra una pagina del quaderno di ricette della nonna: pomidori, zucchero, glucosio, acqua, aceto balsamico 10%, aceto di vino, sale marino, spezie, pepe nero. Sono gli ingredienti che useremmo per farcelo in casa. Da notare "pomidori" e non "concentrato di pomodoro" come nella maggior parte dei prodotti industriali.
Buon appetito e buon divertimento!

Tortino di alici gratinato

Ingredienti
800gr di alici
2/3 pomodori da sugo
due fette di pane raffermo (nella versione sglutinata uso il Panfette della Nutreefree)
uno spicchio di aglio
un ciuffo di prezzemolo
olio
sale
pepe


La velocità di questo piatto dipende interamente dalla gentilezza del vostro pescivendolo. Se è disposto a pulirvi molto bene 1 kg di alici il gioco è fatto, perchè poi, tornate a casa, non dovete far altro che sciacquarle, lasciarle sgocciolare bene in uno scolapasta e disporle in una teglia. L'importante è coprire in modo uniforme il fondo, sempre rivestito di carta da forno bagnata, con i filetti di alici.
La carta va bagnata prima dell'uso altrimenti in forno si brucia, basta passarla direttamente sotto l'acqua corrente.
Tagliate i vostri pomodori in fette dello spessore di qualche millimetro e disponetele sopra il pesce fino a comporre il secondo strato.  Spruzzate di olio con l'apposito nebulizzatore.
Frullate la mollica di pane raffermo assieme ad uno spicchio di aglio e a qualche ciuffo di prezzemolo, mettetela in una ciotola e irroratela con 4/5 cucchiai di olio amalgamando il tutto con una forchetta. Con questo composto ricoprite lo strato di pomodoro. Salate e pepate a piacere.
Infornate in forno già caldo a 200° per 15 minuti, poi passate al grill per altri 5 minuti, fino a che la mollica di pane non risulta croccante e dorata.
Il tortino di alici è un piatto di facile realizzazione, sano e gustosissimo e soprattutto molto economico. Preparato in anticipo è anche più buono. Buon appetito!

Vino. Tre consigli per un abbinamento possibile (tutti intorno o sotto i 10€):

1. Lison Classico D.O.C.G. - Mulin di Mezzo
2. Aquileia Superiore D.O.C. Friulano - Tenuta Ca' Bolani
3. Alto Adige Lagrein Rosè D.O.C. - Hofstätter ... se volete osare un rosato di classe.

martedì 21 aprile 2015

Anteprima in bottiglia - Campi Taurasini D.O.C. 2013 - Stefania Barbot

Non vi ho ancora detto cosa ho bevuto sulla carbonata di sabato scorso. Ma l'ho fatto di proposito perché la bottiglia in questione merita un post tutto suo. Non fosse altro perché non vi sarebbe ancora facile trovarla, è una novità assoluta. Come è una novità assoluta la cantina che la produce. Siete tutt'orecchi? Allora vi racconto una bella storia, di quelle che ogni tanto capitano, quella di un uomo che, arrivato alla cinquantina come dirigente d'azienda, si è guardato dentro e ha deciso che era arrivato il momento di far qualcosa per passione e di dar spazio al suo amore per la terra e il vino. Così, in un momento non facile, ha rischiato i propri risparmi nell'avventura della vita. Ha rilevato del terreno in Irpinia, a Paternopoli, terra di Taurasi, e con sua moglie Stefania ha iniziato l'attività di viticultore. Il vino di cui vi parlo oggi, appena presentato agli operatori di settore nell'ultimo Vinitaly, viene da una delle prime 8.000 bottiglie prodotte e ho avuto il privilegio di gustarlo perché il signore in questione è un amico di mio marito che sa bene quanto mi piaccia bere. Si tratta del Campi Taurasini D.O.C. Ion 2013 - Stefania Barbot, un aglianico in purezza che ha ricevuto cure particolari e attente e partecipa, insieme a altre due cantine, a un esperimento di territorio condotto dall'enologo Vincenzo Mercurio: da stesso uvaggio e stessi trattamenti di cantina, ma dai terreni diversi di tre diversi produttori, vengono realizzati tre vini, la cui differente anima testimonia solo della variazione dei suoli e delle esposizioni.
Ion, il cui nome in greco significa viola, è un vino per certi aspetti sorprendente. Conosce solo l'acciaio, meno del 5% fa un leggero passaggio in legno grande, dunque porta con sé inalterate le caratteristiche dell'uva. Il colore è un bel rubino violaceo (ion), cupo ma trasparente, da vino ancora giovane che potrebbe affinare altro tempo in bottiglia. Mentre ruota nel bicchiere con archetti stretti e densi, si sprigiona un naso etereo, di ciliegia piena e leggermente speziato, piuttosto complesso. Ma la sorpresa arriva all'assaggio. Il vino è piuttosto morbido e dolce nel gusto, senza i tannini aggressivi che ci si aspetterebbero da un giovane aglianico, probabilmente per l'elevata gradazione alcolica che supera i 14,5°. Ha note di ciliegia e un leggero sapore vinoso che testimonia il gusto primitivo dell'uva trattata in acciaio, mentre il finale termina lungo con note di alcool e smalto ben temperate. A mio parere, una bella prima prova, un vino che non stanca, da bere con facilità nonostante complessità e gradazione. Ha accompagnato con la giusta solidità la mia carbonata, un piatto che richiede vini ampi e decisi. A me è piaciuto, in attesa di più alti risultati per il Taurasi che mi è stato promesso in produzione per le prossime annate. Non so ancora dirvi dove sarà disponibile e a che prezzo, ma quando lo vedrete sullo scaffale un pensierino potrete farcelo di sicuro senza timore di sbagliare.
E un grande "in bocca al lupo" ai neo-produttori.

L'abito non fa il monaco - Cesanese del Piglio Superiore Alagna 2012 Marcella Giuliani

Certo che brutta è brutta! A vederla e a leggere il nome del produttore verrebbe in mente il famoso amaro medicinale dei caroselli di gioventù piuttosto che un buon vino. E se pensate che è stata appena rinnovata rispetto alla precedente versione che, quanto a scarsa attrattiva, non era da meno, c'è da chiedersi perché il designer avesse intenzioni tanto malevole. Si, sto parlando dell'etichetta, ovviamente, cioè dell'abito... perché il monaco, invece, è di ben altra pasta e meriterebbe un vestito migliore. Potremmo indire un concorso fra noi per disegnargliene uno gratis, che dite?
Ma veniamo a noi. Il nostro monachello me lo sono stappato su un bell'abbacchio al forno e ha fatto decisamente un'ottima figura. Tra l'altro, particolare da non dimenticare, fa parte di diritto della categoria degli "infrasettimanali", i vini economici di qualità, essendo venduto a 7€.
Ha un bel colore di perfetto rubino, senza toni violacei o aranciati... rubino e basta, bello trasparente, mette allegria. Gli archetti sono di media ampiezza e non molto densi, il profumo vibra tutto su note eteree e di ciliegia con un che di erbaceo ben pronunciato che è proprio del cesanese. Al gusto è abbastanza morbido e quasi abboccato (sfumatura dolce) e, per un vino di questa fascia di prezzo, decisamente armonico. Il finale non è lunghissimo e sfuma in una nota leggermente smaltata. Nel complesso, uno degli infrasettimanali più riusciti, un vino che potete propinare a ospiti non esperti come qualcosa di maggior valore... purché prima provvediate a rimediare un'etichetta posticcia che vada a sostituire quel vessillo da rimanenza di discount!

lunedì 20 aprile 2015

Un evergreen - Cavour 313

Venerdì sera le piccole erano invitate al compleanno a sorpresa di una loro amichetta e io e mio marito ci siamo trovati soli soletti, con un certo appetito e qualche ora di libertà davanti. In onore di antichi ricordi abbiamo scelto un evergreen, un posto dove torniamo sempre volentieri, di tanto in tanto, da ormai più di 25 anni. La prima volta mi ci portò proprio lui, credo intorno al 1990 o giù di lì, quando ancora di vino non mi interessavo. Eppure il posto mi piacque subito per l'atmosfera semplice e raccolta di vecchia bottiglieria. Giudicare un pezzo di felici ricordi non è facile, perché ogni volta che ci torno l'attenzione a quel che assaporo è rubata da tutto quello che mi torna alla mente di quegli anni ormai così lontani e delle tante occasioni in cui ci sono stata in seguito, amore, amicizie...
Cavour 313 è rimasto quello di sempre, all'esterno una insegna di vini e liquori d'annata, all'interno un arredamento di vecchia data tutto in legno, un'infinità di bottiglie sospese pericolosamente sopra la testa su assi agganciati al soffitto, panche e tavoli in massello. Nessuna concessione alle mode, il design qui non è mai entrato... che è uno dei motivi per cui mi piace tanto. Il pavimento credo sia ancora quello dell'originale rivendita del 1935, almeno ne ha tutto l'aspetto e il consumo. La lista dei vini è vasta, un inesperto è meglio si faccia consigliare da uno dei titolari, gente che sulla faccenda è ben informata. Non dalle cameriere che, anche se gentili, non danno l'aria di saperne molto, al massimo qualche ordine di scuderia. Noi scegliamo un Blauburgunder 2013 - Muri Gries, un pinot nero di una nota e antica azienda vinicola altoatesina, buon prodotto a prezzo ragionevole per accompagnare il filetto di maiale in crosta di pistacchi e porro e il piatto di carni stagionate (bresaola di bufalo, cecina de Leon, prosciutto di Sauris) che iniziamo a ordinare.

Caratteristiche del vino, oltre alle note di frutta e alla leggera speziatura derivante dal passaggio in legno grande, sono una discreta freschezza e acidità al gusto e un aroma un po' particolare che a me ricorda... il profumo della carne cruda in una buona macelleria. Si, lo so, le mie note di gusto sui vini sono poco convenzionali. Ma credo sia giusto cercare di raccontare aromi e profumi, di per sé indescrivibili a parole nonostante tutti gli sforzi degli esperti del settore, con quello che la memoria volta per volta ci fornisce e che non sarà mai lo stesso per tutti gli assaggiatori. Meglio una associazione di idee un po' stravagante ma che tenta di comunicare una emozione che utilizzare solo termini stereotipati. Altrimenti, nonostante i vini siano tutti diversi, le loro descrizioni si omologheranno sempre sulla solita frutta rossa in tutte le declinazioni, le spezie, le note fumé... ma quello che rende quel vino diverso dagli altri difficilmente potrà essere colto e trasmesso. Vabbe' vi ho annoiato abbastanza, in ogni caso quella caratteristica un po' sanguigna del vino ha accompagnato benissimo la carne bianca del filetto di maiale e gli affettati, con le loro speziature e affumicature. I piatti sono buoni, ma non speciali. Il maiale è tenero e la farcitura saporita e non salata, ma non siamo all'altezza di un ristorante di livello, gli affettati di qualità, ma non il top delle rispettive categorie. Per finire la cena veloce - dobbiamo sempre tornare a ritirare le bambine all'uscita della festa - ci facciamo tentare da una porzione di pecorino di fossa accompagnato da un'ottima mostarda di fichi e, come consiglia il menu, da un bicchiere di Verdicchio Passito 2004 - Garofoli (non metto il link perché il sito web dell'azienda è di una navigazione impossibilmente lenta), un prodotto di qualità, con la giusta complessità di fichi e datteri che serve per rivaleggiare con il saporito pecorino, stemperandone la sapidità in dolcezza. Ma dopo mezza bottiglia di pinot, la mia capacità di giudizio è un po' ottenebrata nonostante il mio sguardo attento e pensieroso non lo tradisca. Vero?
Forse una bella passeggiata nei meravigliosi dintorni del locale (via dei Serpenti e zone limitrofe) non ci sta male prima di andare a far convenevoli con i genitori degli altri bambini.
Tornando a noi, Cavour 313 è sempre nel mio cuore, un posto cui perdono qualche distanza dall'eccellenza in virtù del suo essere stato il primo e di mantenere quell'aura di convivialità gourmet di vecchia data. Se amate le emozioni del vino e della tavola, ne uscirete di certo soddisfatti, è un pezzo di storia  che non può non essere amato anche se il conto non regala molto. Da bere, troverete qualsiasi cosa desideriate e non è poco. Se avete bambini che apprezzano salumi, formaggi e sfiziosità fate molta attenzione a portarli con voi, la situazione potrebbe scapparvi di mano e ne uscireste con una spesa paragonabile a un ristorante di buon livello, ve lo dico per esperienza. D'altra parte, i vostri figli saranno bene accetti. Uno dei proprietari mi confidava che vede un futuro di decadenza per attività come la sua perché la clientela tende progressivamente a invecchiare. "I giovani non sanno più bere", mi confida, "ormai passano le serate a riempirsi di alcol a buon mercato e cibi scadenti". Se vi capita, fateci un salto con i vostri piccoli buongustai e smentitelo, ve ne sarà riconoscente.

domenica 19 aprile 2015

Spezzatino brasato con pancetta affumicata o carbonata



La carbonata è un piatto tipico della Valle d'Aosta e in origine si preparava con la carne salata del posto. Per questo motivo alcuni abbondano nell'uso del sale. Io, che al contrario non amo le preparazioni troppo salate perchè durante la notte il mio stomaco già occupato abbondantemente dalla cena sembra essere sempre troppo piccolo per contenere tutta l'acqua richiamata dal sodio infiltrato nelle mie povere cellule, non ne aggiungo affatto. Tra gli ingredienti non lo troverete. Secondo me non è necessario perché più che compensato dalla presenza del vino e della pancetta, aggiungerne coprirebbe aromi e sapori... ma fate voi.


Ingredienti

1kg di manzo
1,5 l di vino rosso
4-5 cucchiai di olio extravergine
150gr di pancetta affumicata
1 spicchio d'aglio
5 bacche di ginepro
3 chiodi di garofano
1 stecca di cannella
erbe aromatiche fresche: 
                                                       timo, rosmarino, salvia e alloro

Si fa presto a dire 1 kg di manzo, in realtà la scelta del pezzo di carne è quella che detta il successo della ricetta. Nei prossimi giorni scriverò un post sulla scelta del taglio più adatto a ciascuna preparazione, per ora posso dirvi che per cucinare uno spezzatino compro quasi sempre il piccione o cappello di prete, perchè viene morbido e non contiene i "tenerumi" che al signor Pesce proprio non piacciono. La cosa importante è che non sia troppo magro, deve essere marmorizzato, si devono vedere delle venature di grasso che si infiltrano nella carne, altrimenti il piatto risulterà stopposo. Quindi, per favore, ignorate il girello.
Tagliate  la carne a dadoni, la dimensione dipende dal vostro gusto personale (io li faccio piuttosto grandi), e mettetela a marinare per almeno 5 ore con il vino, le bacche di ginepro, i chiodi di garofano, la stecca di cannella e lo spicchio d'aglio. Ancora meglio sarebbe lasciarla in ammollo tutta la notte, ma non sempre il giorno prima abbiamo deciso cosa mangeremo il giorno dopo. Per il vino, io in genere utilizzo un nebbiolo di buona qualità. Il mio preferito per questo piatto è il Nebbiolo Langhe D.O.C. - Cantina Produttori del Barbaresco, ottimo anche nel bicchiere e in abbinamento con il piatto e con un rapporto qualità/prezzo d'eccezione. Ma con un buon aglianico, un primitivo di struttura o un montepulciano d'Abruzzo, la carne verrà altrettanto gustosa, solo con leggere differenze di aromi. In teoria, il massimo sarebbe un barolo, come per il classico brasato, ma saremmo decisamente fuori budget. Torniamo a noi. Scolate la carne e asciugatela con la carta da cucina, poi infarinatela. Filtrate il vino della marinatura in modo da togliere gli aromi e scaldatelo in un pentolino.Contemporaneamente fate scaldare un tegame e versateci 4/5 cucchiai di olio. Quando l'olio è ben caldo, mettete i dadoni di carne infarinati uno alla volta nella pentola, perché se li mettete tutti insieme la temperatura scenderà bruscamente, la carne tirerà fuori i suoi liquidi e sarà la fine della vostra cena.
Mettete a rosolare, dopo un minuto e nello stesso tegame, anche la cipolla e la pancetta. Io non le metto mai a fuoco prima della carne altrimenti, ora che si rosola la carne, la cipolla si è bella che bruciata. Dopo aver girato i dadoni di carne da tutti i lati in modo che si siano dorati uniformemente, potete unire il vino che stavate scaldando fino a coprire la carne insieme alle erbe aromatiche.
A questo punto non resta che aspettare circa tre ore, mescolando di tanto in tanto. Ricordatevi che lo spezzatino deve sobbollire e non bollire, quindi tenete la fiamma al minimo.
A fine cottura i dadoni di carne saranno neri come carbone, da cui il nome carbonata, e il vino si sarà rappreso in una crema deliziosa in cui immergere i pezzetti di carne o una bella fetta di pane per una signora scarpetta. Buon appettito!



sabato 18 aprile 2015

Un weekend a Trieste - consigli "foodie" su vitto e alloggio



Perché un weekend a Trieste che è così lontana da Roma? Perché è una delle poche città in Italia con una piscina per i tuffi degna di questo nome e perché le mie bimbe sono piccole tuffatrici. Così, per seguire la trasferta agonistica di Elena, mi sono ritrovata a Trieste per un fine settimana intero. C'ero stata l'ultima volta per lavoro diversi anni fa e il fatto di doverci tornare per l'occasione sportiva e girarmela un po' con la famiglia l'ho preso come una bellissima vacanza inattesa. E bellissima è stata, a partire dal tempo che, a metà marzo, ci ha regalato giornate miti per massacrarci di fatica girando a piedi il centro montagnosissimo della città. Trieste ha un fascino un po' riservato e viste bellissime, a me è sempre piaciuta,  ma quello di cui voglio parlarvi è ben altro. Voglio dirvi di un posto speciale e raro nel quale alloggiare e di un paio di locali dove mangiare davvero fino. Consigli per foodies e amanti del buon vivere. Converrete con me che non è facile girare con una famiglia di cinque persone senza spendere troppo ma alloggiando comodi. Ogni volta che ci spostiamo, la ricerca della base d'appoggio tiene occupato mio marito sul web per giorni e ormai ha maturato una certa esperienza nel trovare i posti migliori. Per Trieste, ha scovato un magnico B&B, il Tre Rose,
un gioiellino di un solo, unico appartamento! E' stata una sorpresa fin dall'arrivo. Era in pieno centro storico, su una viuzza adiacente le mura del Castello di S. Giusto proprio sul cucuzzolo della città e noi venivamo da ore e ore di guida, già pronti a morire per trovare un parcheggio in una zona così centrale mentre ci inerpicavamo nel traffico verso la meta... ma... abbiamo subito ricevuto in dono un posto auto imprevisto dietro il cancello della bella villetta d'epoca dove ci stavano aspettando. L'appartamento è molto più spazioso e curato di quanto possa sembrare in foto, l'intero piano inferiore della villetta con posti letto in quantità, una bella cucina e un bagno di dimensioni imperiali con docciona idromassaggio. Si ha a disposizione un piccolo giardino privato, panche e tavoli da esterno, l'occorrente per il barbecue se se ne ha voglia, il tutto a un prezzo inferiore a quello di una camera d'albergo. Se aggiungete che si è gli unici occupanti e la pace è assoluta, è una vera pacchia, una casetta propria ben arredata al centro del centro della città e con l'auto al sicuro dalle malizie della polizia municipale. I proprietari sono dei gentilissimi signori italo-sudamericani che vi accoglieranno nel loro salotto per una colazione abbondante e una piacevole conversazione. La signora è un'artista, i suoi quadri e gli altri raccolti in giro sono ovunque, e l'arredamento semplice, di gusto e coloratissimo dell'alloggio degli ospiti ne è una prova. Per chi va a Trieste, è il posto dove soggiornare. Solo, non provateci quando servirà a me perché sono disposta a combattere per quell'unica stanza!
Sulla cartina, che notoriamente è piatta, la città da visitare non è molto vasta, ma le strade di Trieste, con pendenze medie superiori al 10%, alla lunga si fanno sentire se non avete l'abitudine alla montagna. E l'appetito si regola di conseguenza. Non potevamo aver fatto tanta strada per soddisfarlo in maniera non foodie e allora solita full immersion in guide, web e consigli per trovare qualcosa degno di essere esplorato. La prima sera, colti un po' alla sprovvista dall'arrivo a tarda ora, ci siamo limitati a una semplice trattoria di pesce in zona, l'Osteria de Scarpon, che la gente del luogo dà per buon ristorante e che un foodie può giudicare un posto onesto: pesce fresco, preparazioni base, portate abbondanti, vino... tralasciamo... e prezzo adeguato. Irene, comunque, ha avuto modo di stupire i proprietari spazzolandosi un bel tegame di spaghetti allo scoglio... commentando "buoni, ma un po' salati".
Il giorno dopo, però, presa la mano con la città e spizzando curiosi dentro le sale dei ristoranti del centro durante la passeggiata mattutina, ci siamo regalati una cena alla Chimera di Bacco, in pieno centro storico, dietro piazza dell'Unita (un vero spettacolo, di notte!). Qui, cominciamo a capirci. Il posto passa come uno dei migliori ristoranti della città, forse il migliore, e siamo ai livelli di un serio locale di Roma, non ai vertici certo, ma di buon livello.
Il locale è abbastanza elegante, frequentato da uomini d'affari, amanti della buona cucina, sloveni con i soldini e con belle compagnie femminili da coccolare e... una famiglia. La strana presenza delle bambine ci rende simpatici a camerieri e maitre (che è una signora), che ci tratteranno benissimo per tutta la sera. I cibi sono all'altezza del nome, i crudi di pesce freschissimo meritano il plauso delle mie figlie. Per il resto, proviamo un po' di tutto: il baccalà desalato servito in gazpacho di San Marzano e croccante di riso al nero di seppia, il gratin di capesante agli asparagi verdi che Irene mi ha fatto appena assaggiare, il polpo croccante cotto sottovuoto a bassa temperatura con le patate, l'ombrina sfilettata con sale di Pirano aromatizzato alle erbe e molto altro, accompagnando il tutto con un piacevolissimo prodotto enologico locale, un Prulke 2012 - Zidarich. Il vino è un  blend di sauvignon, vitovska e malvasia, tipicamente carsico nella mineralità, un oro lievemente torbido - è un "non-filtrato" - come colore, profumi intensi di fiori e frutta, sapido, fresco e morbido: ci ha reso meravigliosa la cena in perfetto abbinamento con lo stile della cucina. Poi sono arrivati i dolci e le bambine si sono scatenate, con porzioni multiple di di flan al cioccolato fondente e di zabaione tiepido al passito di Pantelleria (per i romani: 'na meravija!). Io ho apprezzato soprattutto il semifreddo al pistacchio in zuppa di albicocche, forse il dessert più originale del lotto, abbinandolo a qualche altra chicca alcolica che però, giunta a quel punto, ho dimenticato di annotare. A conti fatti, una cena di livello per un prezzo pari alla qualità assoluta degli ingredienti e alla buona preparazione, la mia anima foodie ne è uscita soddisfatta e senza che io lacrimassi sulla spesa.
Per l'ultima sera in città ci siamo riservati un altro nome, meno rutilante forse, ma alla prova dei fatti ugualmente di buona sostanza: Walter Zacchini e la sua Bottega di Trimalcione. La posizione del locale non è così centrale come per La Chimera, così come la sala e gli arredi non possono tenere il confronto. Ma se alla Chimera prevale l'organizzazione e la professionalità di un locale di lusso, da Trimalcione abbiamo trovato un vero artigiano. Walter ci ha seguiti e consigliati per tutta la cena, conosce i prodotti che offre alla perfezione e si vede che la scelta degli ingredienti è frutto di amore e ricerca di anni. Se mangiate da lui, dovete seguirlo. Lasciate che si occupi di farvi godere della sua cucina, fatevi presentare i piatti, fatevi consigliare i vini e non ve ne pentirete. I crudi di pesce sono forse anche più particolari che alla Chimera, alcuni piatti, come l'insalatina di lattume di seppia, le capesante e i canestrelli o il savor di alici alla chioggiotta, non li dimenticherete. E poi, il piacere di avere a tavola con voi l'artefice dei piatti e condividere con lui gusti e opinioni non ha pari per una appassionata di gastronomia come me. E' stata una serata di vero gusto. Il conto? Be', anche in questo caso perfettamente in linea con ingredienti e arte. 

Post scriptum
Ho ritrovato solo ora gli appunti sui vini serviti da Walter Zacchini con i suoi piatti. Un apprezzabile Spumante Brut "Cuvée Solicum" - Colli del Soligo con piacevoli sfumature di lieviti come accompagnamento per i crudi e un Moscato Giallo 2013 - Bruno Lenardon sui piatti più complessi. Quest'ultimo è una prova ulteriore della cura dello chef nella ricerca di eccellenze locali. L'azienda agricola, che produce olio e vino con vitigni propri del Carso, è una piccola realtà della zona poco conosciuta al di fuori del territorio, ma il vino era ricco di profumi e di note di gusto preziose. Un vino di buon valore, ma non credo sia facile trovarlo al di fuori delle regione.
Alla fine, come accompagnamento per il dessert, ci siamo fatti servire un Picolit D.O.C.G. Colli Orientali del Friuli - Tenuta di Angoris che si è dimostrato un vero gioiellino enologico, ricchissimo di sensazioni di frutta fresca, secca e candita, con note speziate sia al naso che all'assaggio. Delle tre bottiglie, senz'altro la mia preferita.

giovedì 16 aprile 2015

Panini al latte senza glutine.

Ormai il mio amore per la farina Revolution è di pubblico dominio, soprattutto dopo il filone senza glutine al mix di semi e il bouquet di pane rustico, quindi non mi restava che impegnarla in un nuovo duello: panini al latte. L'obiettivo principale era quello di verificare che uno stesso tipo di farina fosse adatto a preparazioni dolci e salate come scritto in etichetta e dal risultato non posso che confermare.


Ingredienti per 8/10 piccoli panini
250gr di farina revolution
200gr di latte
25gr di burro
1 cucchiaio di zucchero
mezza bustina di lievito di birra secco

Setacciate in una ciotola la farina con il lievito e lo zucchero. Aggiungete il burro a piccoli pezzettini e, mentre iniziate a versare il latte, mescolate, preferibilmente con uno sbattitore elettrico a media velocità. Una volta terminato di impastare fate delle piccole palline aiutandovi con due cucchiai e adagiatele su una teglia rivestita di carta da forno. Lasciate lievitare per una mezz'ora. Spennellate i panini con un rosso d'uovo sbattuto con del latte e infornate in forno già caldo a 200° per 30'. Sfornate, lasciate raffreddare e servite i panini spolverati di zucchero a velo, farciti con della crema spalmabile alla nocciola  o con panna montata e gocce di cioccolato come un maritozzo.
I miei sono già pronti, non mi resta che fare merenda!