lunedì 31 agosto 2015

Mai che ne rimanga uno: muffin zucca e salsiccia



L'estate sta finendo, siamo tornati dalle vacanze e non avremo più problemi con la prova costume per almeno altri 9 mesi. E allora cosa ne dite di concederci qualche caloria? Stamane al mercato non ho resistito davanti alla zucca. Mi ha colta impreparata, lo confesso, siamo ancora ad Agosto in fondo, ma il ricordo dei muffin è subito affiorato alla mente. Detto, fatto: un salto in macelleria per le salsicce e... per il resto, gli ingredienti sono quelli sempre presenti in casa: latte, uova, formaggio, olio e rosmarino.


Ingredienti per circa 20 muffin 
200g di farina (Revolution per gli SG o Shar) 
250g di zucca senza buccia
300g di salsicce
3 uova
100g di pecorino
100g di parmigiano
130ml di latte
120ml di olio evo
1 bustina di lievito per torte salate
un rametto di rosmarino


Sbucciate la zucca e grattugiatela con una grattugia a fori grandi, come in foto.
Poi, disponetela su un telo bianco che chiuderete come un fagottino o una caramella, girando le estremità in modo da spremere più succo possibile dalla zucca.
Togliete il budello esterno alle salsicce e sgranatele bene in una padella antiaderente.
Accendete il fuoco e lasciate che si separi la parte grassa, magari inclinando un po' la pentola per far sì che il grasso scoli sul fondo e possiate eliminarlo, calorie sì, ma solo se proprio indispensabili.
A questo punto, in una ciotola capiente, sbattete le uova con il latte e l'olio, aggiungente tutti gli altri ingredienti e mescolate bene per amalgamarli senza fare grumi. Aggiungete anche il rosmarino che avrete prima sminuzzato a dovere.
Pecorino, parmigiano e salsiccia sono saporiti, di conseguenza sconsiglio decisamente l'aggiunta di altro sale.
Imburrate e infarinate una ventina di stampini per muffin, distribuite il composto e infornate a 180° per una quarantina di minuti. 
Non vi resta che offrire i vostri muffin zucca e salsiccia agli ospiti, con la certezza che non ne rimarrà neppure uno e che ve ne chiederanno per ogni futura occasione.

Buon appetito!



domenica 30 agosto 2015

Noblesse oblige - Carmignano D.O.C.G. Villa di Capezzana 2009



No, non vi preoccupate per la mia salute, non sto bevendo una bottiglia al giorno, è solo che sono rimasta indietro con le recensioni e mi metto in pari tutto in una volta. Il vino di oggi è un altro nome noto tra le buone bottiglie. E come potrebbe non esserlo, se la sua prima annata è del 1925? Siamo di fronte a una araldica opposta a quella degli ultimi vini che vi ho raccontato, giovani cavalieri di belle speranze e di promettente avvenire, come il Castellum Vetus, o astri improvvisi e imprevisti, capaci di conquistarsi in pochi anni un impero di estimatori venendo quasi dal nulla, veri Alessandro Magno o Napoleone tra i vini, come l'Es. In questa bottiglia, invece, la nobiltà è tradizione, quasi cento anni di storia per la sua etichetta e migliaia per la vocazione enologica del terreno da cui sgorga. Il Villa di Capezzana è un Carmignano D.O.C.G. per 80% da uve sangiovese e 20% da cabernet sauvignon, fermentato e elevato in tonneaux. L'ho gustato in tutto il suo vigore su una tagliata di manzo, un piatto pulito, dal gusto netto ma semplice, che lascia al vino la parte del protagonista. Sempre un buon piatto su cui provare rossi scattanti e profondi, come il nostro ospite. Il Villa di Capezzana ha un colore perfetto, il rubino senza incertezze di una gemma, profondo, limpido e con riflessi meravigliosi, farebbe la felicità dell'occhio di un gioielliere. Ha una buona densità e archi stretti, un profumo ampio e complesso, ma soprattutto sorprendentemente profondo: si apre le vie dal naso al cervello con una intensità stupefacente e rimane a lungo nei sensi. E questo, anche a bottiglia appena stappata! Le note iniziali sono di ciliegia, supportata da una notevole potenza alcolica, ma si termina su toni più eterei e sanguigni. Un naso dal profilo molto nobile, come da giuste ascendenze. Al gusto è forte, asciutto, austero, aromi di legno e cuoio sulla ricchezza del frutto, con un persistente finale dalla decisa potenza alcolica e un tannino setoso e pulito. Un hidalgo di gran classe, tiene fede a tutti i doveri delle sue nobili radici. Noblesse oblige. 18€ per sedere alla sua tavola e un bel punteggio di 89/100 da parte mia.

sabato 29 agosto 2015

Un vecchio castello... tutto da bere: Montepulciano d'Abruzzo Colline Teramane D.O.C.G. Castellum Vetus 2008 Centorame


Con il vino di oggi terminiamo, almeno per un po', le degustazioni abruzzesi. Quando torno a Roma di Abruzzo ne bevo davvero poco, visto che durante l'estate mi dedico quasi esclusivamente all'enologia di quella regione. Il Castellum Vetus è stato il buon compagno della mia ultima cena a base di arrosticini e formaggi in quel di Pescara. L'ho scelto perché i primi temporali estivi avevano abbassato parecchio la temperatura delle notti e mi sentivo pronta a tornare su un rosso di buon corpo dopo gli esperimenti con i rosati più freschi. Un'anteprima dei bicchieri d'autunno, insomma. 
Con il vecchio castello della zona nell'etichetta dal sapore antico, il Castellum Vetus è un montepulciano in purezza dallo stile piuttosto classico, pur essendo il rampollo di una giovane azienda enologica di Casoli d'Atri, attiva nella produzione di poche varietà di vini solo dal 2002. Fino a quell'anno, l'azienda agricola Centorame,  da generazioni impegnata nella coltivazione di olivi, vigne e frutteti, conferiva le proprie uve a un consorzio locale. Nella nuova attività di produzione di vini in bottiglia, il Castellum Vetus rappresenta il prodotto di punta.
È un vino dall'aspetto austero, rosso rubino intenso e compatto, quasi impenetrabile, denso e con archi stretti nel calice. Al naso è piuttosto complesso, con note principali di ciliegia e amarena accompagnate da pepe nero, spezie e sentori di cuoio in finale. Si sente il passaggio in botti di rovere che però non snatura le caratteristiche proprie dell'uva. Al palato è altrettanto austero, piacevolmente caldo e secco negli stessi aromi avvertiti aspirandone il profumo. Il finale è piuttosto lungo, con tannini ben temperati ma vivi e un retronaso ammandorlato. Insomma, tiene fede al suo nome, concede poco alla morbidezza: non blandisce come un cortigiano ma rincuora virile, come farebbe un commilitone sugli spalti del vecchio castello, ha un gusto antico da sala d'armi. È molto buono ma poco "piacione", non è vino per tutti, ma se piace il genere (come a me), è ottimo. Per capirci, è molto diverso - parlo di genere, non di valori, che sono su tutt'altra scala - dall'Es, quello è opulento, questo marziale: bel vino per chi ama forza e decisione nel bicchiere. Io l'ho trovato a 15€ in enoteca, a Pescara, ma credo sia un prezzo tra i più bassi in circolazione per questa bottiglia. Un bel punteggio di 87/100, lo merita tutto.  

venerdì 28 agosto 2015

Riso Venere con pollo e mandorle all'arancia.





Ingredienti per 4 persone

300g di riso Venere
200g di petto di pollo intero 
(o tagliato in fette spesse mezzo cm)
50g di mandorle a lamelle tostate
2 arance
1 mela
100g di songino
100ml di cognac
farina di riso
olio evo q.b.
sale

Lessate il riso venere secondo i tempi riportati sulla confezione, scolatelo, raffreddatelo e mettetelo da parte.
Affettate il petto di pollo in fettine spesse mezzo cm e poi tagliatelo a filetti, in modo da ricavarne dei bastoncini irregolari.  Se preferite potete usare una coscia di pollo disossata, sarà più grassa ma anche più tenera. In ogni caso non temete di usare il petto, questa preparazione risulterà comunque morbida grazie all'infarinatura della carne, che stavo per consigliarvi. Infatti, dovete infarinare gli straccetti di pollo con la farina di riso.
Poi, spremete il succo di un'arancia e scaldate bene una padella antiaderente dal fondo spesso. 
Versate qualche cucchiaio di olio nella padella e, quando sarà ben caldo, unite il pollo facendolo rosolare bene.
A questo punto, sfumate con il succo di arancia e il cognac. Se non lo avete pazienza, potete usare un po' di vino bianco o anche solo il succo di arancia.
Quando il sughetto si sarà ritirato unite il riso e fate insaporire  mescolando bene.
Lavate e pulite bene il songino. e tagliate a fette sottili la mela.
Avete fatto. Unite tutti gli ingredienti in un piatto da portata e distribuite le lamelle di mandorle tostate in superficie.
Decorate con qualche fettina di arancia e anche l'occhio avrà la sua parte.
Buon appetito!

Foto e ricetta sono una gentile concessione della Casa del Parmigiano (PE).

Cosa ci abbinerei? Un bicchiere di Solobianco, per esempio, ci starebbe alla perfezione.


giovedì 27 agosto 2015

Foodie-percorsi: Castel Camponeschi e l'Osteria del Borgo dei Fumari





Mi piace terminare le vacanze con un'ultima gita. Scelgo sempre un diverso itinerario di ritorno, da Pescara a Roma, che comprenda la visita a un luogo interessante e una bella cena in un locale nuovo e ben recensito, così, tanto per finire in bellezza prima di tornare alla routine. Dopo aver battuto l'Abruzzo palmo a palmo, ormai mi sono rimasti da vedere solo i luoghi meno conosciuti e quest'anno ho scelto di visitare Castel Camponeschi, vicino a Prata d'Ansidonia, in provincia di L'Aquila. Così, saltando da un'autostrada all'altra, ci siamo addentrati per la piana di Navelli, patria del famoso zafferano, propizio auspicio per la cena.



Castel Camponeschi è un bel borgo medievale, ormai abbandonato e deserto ma ben conservato, sulla vetta di una collina da cui si godono panorami stupendi sulla piana coltivata e sulle pendici boscose dei monti. Ci siamo arrivati con la luce del tardo pomeriggio che rendeva l'atmosfera ancora più incantata e dolce. La prima sorpresa è stata quella di trovare il portone sbarrato. Le guide dicevano che la visita era libera e gratuita. Arrivati fin là, non potevamo rinunciare senza un tentativo più serio, così abbiamo percorso il perimetro delle mura e abbiamo trovato un varco già battuto nella recinzione. Sapevamo che il borgo era abbandonato dagli abitanti già da molti decenni, ma anche che era stato sottoposto a interventi di consolidamento e recupero.
Percorrendone le vie e visitandone le case, le fortificazioni e la chiesa, tutte aperte e accessibili con un minimo di precauzione, abbiamo scoperto che gli interventi edilizi sono stati effettuati molto bene, con ottimi materiali e attenzione all'originalità delle strutture, ma che sono stati abbandonati a mezzo dopo il sisma del 2009.

Da allora, il piccolo borgo fortificato attende. Tutto è rimasto congelato a quella notte. Alcuni edifici sono perfettamente restaurati nelle strutture e, in parte, anche negli interni. Altri sono ancora fatiscenti. Qua e là si vedono i segni del terremoto, più evidenti nelle vecchie case in abbandono e, soprattutto, si è testimoni del saccheggio meticoloso di tutte le strutture e le pose in rame e metalli pregiati operato dai soliti ignoti negli ultimi anni.
La visita è stata affascinante, la bellezza del luogo è indubitabile, ma anche la tristezza di tanto abbandono, di tanto valore gettato letteralmente alle ortiche è difficile da dimenticare. Le bambine si sono divertite moltissimo a esplorare l'intero borgo, a disposizione come un paese di fate, dove abbiamo incontrato a stento un paio di coppie di solitari e stupiti turisti, come noi increduli di fronte a un posto tanto bello eppure all'apparenza dimenticato.
Ci diranno più tardi in paese, a Prata, che gli interventi di recupero sono destinati a riprendere e che il borgo è proprietà del Comune che sta facendo di tutto per poterlo valorizzare in un tempo futuro perché lo considera il gioiello del suo territorio. Speriamo sia proprio così. In ogni caso, se non allunga troppo la vostra strada, una visita solitaria e sognante la vale proprio. E, se proprio avete tempo perché siete in anticipo sull'ora della cena, potete allungare i vostri passi fino alle rovine della romana Peltuinum, sulla collina opposta, della quale non resta  molto se non scarsi ruderi che però rendono suggestivo il
tramonto nella valle.
Ma, passeggiando, scalando, visitando, ormai la fame si fa sentire e torniamo a Prata alla


Un locale proprio al centro del paese, un bell'edificio, uno dei pochi completamente ristrutturati tra i molti sfregiati dal terremoto e tenuti insieme da provvisorie strutture d'acciaio e legno. Caratteristico, non rende l'idea. Piuttosto, magico. Un insieme di antiche case, sovrapposte le una alle altre in un dedalo di scale e salette, restaurate con gusto e materiali di pregio, arredate in stile, con camini, credenze e antiche pietre scolpite ovunque e piccole terrazze esterne e verande affacciate sul panorama e sui fiori. Il luogo, gli arredi, la pulizia e la riservatezza dei molti piccoli ambienti meritano un plauso non comune.

Ci sentiamo a nostro agio, in una locanda dove possiamo fermare il tempo per una cena da gustare con calma. Ma il bello deve ancora venire. Dopo la scelta delle pietanze, che ci vengono raccontate senza un menù vero e proprio, chiedo dei vini. Mi accompagnano a sceglierli direttamente dalle diverse credenze a vetri in cui sono alloggiate tante belle bottiglie, una cantina non troppo ampia, ma con molte perle. Aprendo un'anta per scegliere meglio, lo vedo! Lui, il Vino, il mio preferito da quando era neonato.

Lo prendo e dico al ristoratore che è quello che amo di più fra tutti, ma che mi aspetto costi davvero troppo per invitarlo a tavola. Lui mi dice che applica ricarichi molto bassi sulle bottiglie, mi dice il prezzo... è vero... è ottimo per un ristorante... non resisto e cedo, l'ultima coccola prima di rientrare in città... lo voglio e lo avrò, qualsiasi altra cosa mi portino in tavola per accompagnarlo!
La cucina del Borgo dei Fumari è semplice ma gustosa. Non aspettatevi preparazioni di grande estro, piuttosto attenzione ai buoni prodotti del luogo cucinati e presentati con cura. Si inizia con un vario antipasto, composto da un piatto di salumi, formaggi, verdure gratinate, ricotte dolci e salate, bruschettine con lardo e tartufo e un'insalatina mista mantecata con il parmigiano. A seguire, antipastini vegetali in coccio, lenticchie, ceci, cipolle in agrodolce, funghi, carotine e uovo strapazzato al tartufo. Il tutto accompagnato da pizza fritta in alternativa al pane integrale. L'antipasto è piuttosto abbondante e ci limitiamo a assaggi di primi. Le "lune di miele", ravioli di ricotta allo zafferano, sono il piatto del locale. Le mie figlie si dividono anche della chitarra con pancetta e zucchine che è appetitosa e ben cucinata nella sua ordinarietà. Per secondo ordiniamo solo tre porzioni di filetto di maiale in crosta di pancetta al Montepulciano, un piatto a testa sarebbe ormai troppo e le bambine vogliono assolutamente lasciarsi un po' di spazio per i dolci. Cotto a puntino, morbido e saporito, non ci delude. E i dolci? Li proviamo quasi tutti, con qualche raddoppio, insieme a un calice di passito e uno di malvasia (non eccezionali) che ci verranno offerti.

Tortino caldo al cacao con cuore di cioccolato fuso,  sformatino dolce di pere e grana, spuma semifredda d'arancia, tutti sufficientemente gradevoli e ben presentati. Il conto non è stato particolarmente leggero rispetto al solo valore dei piatti, ma aggiungendoci l'atmosfera davvero piacevole del locale, la cortesia del personale, la qualità dei vini a disposizione e la tranquillità assoluta in cui ho potuto gustare la cena, sono rimasta sicuramente più che soddisfatta. Un locale che merita senz'altro una visita se si è in zona e di cui ci si ricorderà con piacere. Nel mio caso, il piacere più grande e il ricordo migliore è stato quello di pasteggiare con lui...



Il vino degli dei - Primitivo di Manduria D.O.C. Es 2012 Gianfranco Fino




Che dire? Il vino che ho amato di più tra tutti quelli che ho bevuto. Dalla prima annata, quella 2004, quando nessuno lo conosceva ancora, mi è subito sembrato un gigante. In tutte le annate successive si è affinato, è migliorato, è cresciuto. Parlarne bene oggi, dopo che è stato più volte considerato il miglior vino d'Italia nelle classifiche della stampa specializzata  e uno dei grandi vini al mondo da Wine Spectator, sarebbe pleonastico. Non per me che l'ho sempre adorato, dalla nascita.
Questa annata ha un colore rubino-porpora molto intenso, quasi impenetrabile, con un'unghia violacea che ci ricorda che avremmo potuto, in altre occasioni, attendere ancora qualche anno a aprirlo. Gli archetti sono strettissimi, dimostrano tutta la potenza e la densità dei suoi 16,5°.

Il profumo contiene un universo, per complessità, avvolgenza, forza: ciliegia, amarena, spezie, cacao, caffè e liquirizia, in un vero e proprio effluvio che inebria come un incenso. E quando lo si beve, non delude neppure un po', anzi cresce ancora. Profondo e complesso, morbido e e potente, ti conquista tutti i sensi e ti lascia in un finale lunghissimo, pulito e con  dentro tutta la forza del sole del Sud e la dolcezza dei più bei tramonti marini. Davvero un vino da meditazione. Impressiona come non lasci il passo a niente, nessun sapore dei cibi può turbarlo. L'ho provato, così, per gioco, anche sulle portate meno adatte e vi assicuro che non ne riuscite a alterare troppo il gusto neppure dopo una forchettata di cipolle in agrodolce: davvero impressionante! Accompagna benissimo i formaggi e le carni, ma ha una piacevolezza e una bevibilità totali nonostante il vigore, è un titano gentile. In altre occasioni, a casa, ho avuto modo di provarne un sorso persino sul cioccolato fondente e, anche in quel caso, è una esperienza sensoriale memorabile. Ok, basta, vi ho annoiati. Ma, se un solo vino potesse esistere al mondo, vorrei fosse questo e da quando l'ho conosciuto ho immaginato che il coppiere dell'Olimpo dovesse servire qualcosa di simile ai suoi augusti signori. Il costo, be' inutile parlarne, il voto, dato da me, non può esser meno di esagerati 98/100. L'amore è amore...

...e, nel bicchiere, solo il ricordo...

martedì 25 agosto 2015

Vino e piatti di mare 3: Pinot Bianco Alto Adige Schulthauser 2013 St. Michael Eppan



Terza portata della mia cena di pesce, il secondo: grigliata di spigola e di rombo. Purtroppo, dopo gli spaghetti con le alici, la complessità della portata va diminuendo e un vino come il Daniele ha troppa struttura e potenza per accompagnare il sapore pulito del pesce alla brace. In questo caso serve un vino che esalti i sapori diversi delle carni dei vari pesci, senza coprirli. Un vino meno lavorato, più vicino alle caratteristiche naturali del vitigno, magari di buona mineralità e freschezza. La mia scelta è caduta su un Pinot Bianco Alto Adige Schulthauser 2013 St. Michael Eppan. Un pinot bianco in purezza, considerato una eccellenza dell'Alto Adige. Per questa selezione Schultauser, le uve provengono da vigneti di alta collina sopra Appiano e solo una piccola frazione è passata nel legno. Il vino così ottenuto rappresenta il prodotto di punta, per quanto riguarda il weissburgunder, della grande e rinomata cantina sociale di San Michele Appiano. Nel bicchiere è di un giallo paglierino chiaro dai riflessi verdognoli, leggero. Il profumo è molto intenso, di fiori bianchi e di agrumi, dove dominano rispettivamente il biancospino e il cedro. Ha un aroma di grande equilibrio, come estremamente equilibrato risulta al palato. Morbidezza e freschezza sono fuse perfettamente, con una nota minerale che sottolinea la pulizia estrema del sorso e del bel finale. Le note fresche, minerali e agrumate sono meravigliose sulla carne dei pesci alla brace, un po' amarognola per i fumi della cottura. Il piatto viene reso più fresco e il vino più morbido, in una reciproca esaltazione dei gusti. Un abbinamento di grande equilibrio per un vino che proprio della pulizia e dell'equilibrio fa il suo punto di forza. Una interpretazione del pinot bianco di grande valore per un prezzo (circa 12€) contenuto. 87/100.

lunedì 24 agosto 2015

Vino e piatti di mare 2: Controguerra Bianco D.O.C. Daniele 2011 Illuminati



Passiamo a un piatto di mare dal sapore deciso e composto, gli spaghettoni con alici, pinoli, uva passa e pomodorini secchi che tanto sono piaciuti a giudicare dalle visite al post. E cambiamo vino. Qui serve qualcosa di molto più strutturato, che accompagni la sapidità e il gusto delle alici e la dolcezza dell'uva sultanina, la morbidezza dei pinoli e l'acidità contenuta dei pomodorini essiccati. Non un vino qualsiasi... studio con attenzione gli scaffali dell'enoteca... e scelgo qualcosa di inedito per la mia tavola ma che mi fa sperare in un'ottima riuscita... una bottiglia di Controguerra Bianco D.O.C. Daniele 2011 di Illuminati. Mi ispira il blend di uvaggi, trebbiano, chardonnay e passerina, autoctoni e internazionali, e la lavorazione raffinata con fermentazione e invecchiamento in botte che mi fanno immaginare un vino complesso e morbido, con aromi avvolgenti, se lo chardonnay ha dialogato bene con il legno. A casa, lo apro per la mia pasta, degustandone un bicchiere prima di sposarlo agli spaghettoni. Il colore è bello ma comune, un oro medio, trasparente, abbastanza leggero nel calice. Ma a seguire, il Daniele supera tutte le mie aspettative. Il profumo già annuncia il campione: è complesso e sfaccettato, di fiori, frutta matura, erbe e spezie. Su una base che ricorda il sidro di mele passano note decise di miele di castagno e aromi secondari che a me ricordano addirittura le erborinature delicate di certi formaggi. Tutto questo profluvio di sensazioni si ritrova all'assaggio, in un sorso morbido e potente, avvolgente e con un finale persistente e austero. Che bel vino! Ha tenuto testa ai molteplici sapori della mia pasta senza incertezze, altrettanto poliedrico e saziante di sensazioni dolci-sapide, morbide-fresche. Unica pecca... questa volta Daniele, nella fossa dei leoni che è la mia famiglia a tavola, ha trovato la sua fine in un attimo, sebbene si fosse già alla seconda bottiglia della serata. Troppo piacevole per sopravvivere a lungo. 89/100 e circa 14€. Uno dei vini da ricordare della stagione.

Vino e piatti di mare 1: Moscato Giallo 2014 Manincor



Con oggi, torno alla civiltà e alla rete. E al mio blog. Come aperitivo dei molti post che mi sono ripromessa di pubblicare, vi offro questa prima chiacchierata su abbinamenti tra vini e pietanze di mare sperimentati durante il periodo del mio digital divide.
Il piatto di mare in questione è una semplicissima insalata di polpo, con olive nere, patate, peperoni crudi e sedano croccante, che gusto in genere con vini bianchi di delicata struttura, buona mineralità e freschezza. 
In questo caso ho voluto azzardare l'abbinamento con una aromaticità varietale spiccata, quella del moscato giallo. La bottiglia prescelta è stata un Moscato Giallo 2014 della tenuta Manincor, casa  vinicola di cui vi ho già parlato.
Il vino è molto trasparente e leggero, di un dorato molto tenue, quasi incolore, ma ha invece un profumo ampiamente aromatico, complesso e profondo di lieviti, fiori e agrumi. E quando lo si beve conferma il carattere, con note floreali e di cedro ben marcate in una grande freschezza asciutta ma con aromi avvolgenti e lunghi. Non copre la semplice portata di pesce con una struttura troppo densa, ma la completa con la varietà dei profumi. Mi è sembrato un buon compagno per i crudi, le insalate di pesce o un primo di mare delicato... pasta con cannolicchi, in bianco?
Costa circa 13€ in enoteca. 85/100.

domenica 16 agosto 2015

Un vino raro - Salento I.G.P. Primitivo Rosato 2014 Attanasio



Sono costretta a un preambolo per raccontarvi come ho conosciuto la piccola ma pregiata realtà salentina che produce la bottiglia di oggi.  Era il 2004 quando, in una enoteca di grande livello, a Roma, mi proposero di assaggiare la prima annata di un primitivo di Manduria di una piccola azienda nascente. L'Es! Era ancora un esperimento, con i suoi 18° metteva soggezione. Ma era già grandioso, pensai subito che sarebbe stato il mio vino, se ne avessi potuto bere uno solo da lì in avanti. I circa 20€ di prezzo erano nulla per il vino degli dei. Quando raccontai agli amici che avevo trovato il vino dei miei sogni in quella bottiglia ancora rara e sconosciuta di primitivo stentavano a credermi. Un primitivo poteva essere buono, ma non il migliore. Negli anni a venire ho sempre cercato di procurarmene qualche bottiglia, nonostante la fama dell'Es crescesse e con essa il prezzo. E continuava a migliorare, perdendo forza alcolica e acquistando armonia indescrivibile. Con il tempo, questo gigante del Sud ha trionfato, ho avuto ragione nel giudicare quei primi sorsi, e è diventato un vino di assoluta caratura internazionale. Purtroppo, la soddisfazione di aver azzeccato il giudizio è stata punita dal fatto di non potermelo più permettere con la stessa facilità, ormai è un vino da 40€ a bottiglia, un po' troppo perché le finanze familiari non ne siano scosse. Sono stata costretta a cercare qualcosa che somigliasse a quel vino speciale e, tornata alle origini, nella stessa enoteca in cui avevo fatto la conoscenza dell'Es, mi sono fatta consigliare. Così, ho assaggiato per la prima volta il fantastico e quasi altrettanto valido primitivo dell'azienda agricola Giuseppe Attanasio, piccolo produttore storico salentino, con una offerta limitata di vini tutta incentrata su quel vitigno e prezzi ancora alla mia portata. Dal 2013 Attanasio ha iniziato a produrre il Salento I.G.P. Primitivo Rosato, neppure citato tra i vini del suo sito web. Dunque, un vino raro e non molto noto, che ho scovato nella mia enoteca di fiducia a Pescara e ho subito voluto provare dopo la magnifica esperienza del rosso di Attanasio.
Nel bicchiere mostra subito la struttura dei suoi 14°, ha una bella trasparenza ma anche una densità notevole. Il colore è un bel rosa antico che tende un po' all'arancio nell'unghia. L'aspetto è piacevole, ma è l'aroma che conquista. Un profumo intenso, complesso, di fiori rossi e spezie, pepe rosa e con una leggera nota agrumata a chiudere. All'assaggio è leggermente meno coinvolgente, la grande complessità dei profumi è tradotta solo in parte nel gusto, probabilmente perché il vino è ancora un po' giovane, ma ha grande freschezza e acidità, slancio e persistenza, con un lungo finale leggermente ammandorlato. Vino di struttura e corpo sufficienti a preparazioni gastronomiche di una certa robustezza, con un carattere più di rosso che di rosato da aperitivi e finger food, per i quali sarebbe decisamente eccessivo. Non mi ha deluso e credo che migliorerà nel tempo. Già ora merita di sicuro 85/100. Il prezzo in enoteca è quasi pari alla sua gradazione: 14€ scarsi.

giovedì 13 agosto 2015

Pasta e peperoncini dolci






Facile facile, veloce veloce, da preparare all'ultimo momento, una piccola rivisitazione della pasta aglio e olio.

Ingredienti per 4 persone
350g di rigatoni
4 spicchi di aglio
olio evo 150ml
due cucchiai di peperoncini dolci

Questa preparazione è davvero molto semplice, quindi più che una ricetta la considero un'idea, un suggeirmento per coloro che vanno di fretta sia in cucina che al supermercato. Aglio olio e pasta sono sempre presenti in casa, l'unico ingrediente da cercare è un vasetto di peperoncini dolci secchi. Vengono venduti anche sfusi in alcuni banchi di mercato, ben sminuzzati, quasi ridotti in polvere.

Lessate la pasta con i tempi indicati sulla confezione.
Nel frattempo sbucciate l'aglio (il migliore è quello rosso di Sulmona), dividete gli spicchi a metà, eliminate l'anima, ovvero la parte centrale, e fatene delle piccole fettine.
Fate scaldare una padella, versate l'olio e fate soffriggere le fettine di aglio fino a bruscarle leggermente. 
Aggiungete due cucchiai di polvere di peperoncini dolci e un mestolo di acqua di cottura della pasta per creare un sughetto.
Scolate la pasta un minuto prima che scada il tempo di cottura e ripassatela nell'intigolo di aglio e peperoni, fino a che non raggiunge il grado di cottura che più vi piace. Se necessario aggiungete un altro po' di acqua di cottura.
Servite e buon appetito!

martedì 11 agosto 2015

Il mio luogo del cuore - La Vineria di Salnitro





Uno chef che frequenta artisti e reinventa con grande fantasia i piatti della tradizione ortonese, un vecchio frantoio cielo-terra del 1600 acquistato in rovina, restaurato con passione e arredato con estro originalissimo, un paesino piccolo piccolo ma dalla grande enologia (è la patria di Masciarelli), le colline del basso Abruzzo alle pendici della Majella, i prodotti di terra e di mare di una zona di antiche tradizioni agricole e marinare, sono gli ingredienti che formano il carattere di uno dei locali dove amo di più cenare. San Martino sulla Marrucina è un paese di poche centinaia di abitanti, senza grandi attrazioni ma carino e ordinato e con un bel panorama. La prima volta ci sono capitata quasi per caso, cinque anni fa. Avevo portato le bambine a giocare al Parco Avventura della Majella e mi ero cercata un ristorantino particolare, in zona, da provare. Da allora sono tornata più volte alla Vineria di Salnitro e ognuna è stata una bellissima esperienza gastronomica e il piacere di una tavola non solo di buon gusto, ma di grandissima accoglienza e cordialità. Con Angelo, posso dire di essere diventata amica. Ogni volta che vado, mi piace fermarmi a parlare con lui di materie prime, di ricette, di trucchi per le migliori preparazioni, di 
vino e di formaggi. Condividiamo la filosofia che c'è dietro la buona tavola e la buona ristorazione: prodotti di prima qualità, riscoperta delle tradizioni, la gioia di migliorare sempre la propria cucina e il piacere dei propri ospiti, la passione nello scoprire e comunicare nuove possibilità gastronomiche, la convivialità, i tempi rilassati e gli spazi generosi e accoglienti. Angelo ha un locale che farebbe invidia a molti ristoratori per la ricercatezza degli ambienti, tutti in pietra e mattoni, volte a botte, illuminazione soffusa e sapiente, posateria e arredi da locale elegante, tavoli ampi. Nello stesso tempo la sua cucina è solo espressa. Non ha una vera carta, prepara solo quello che trova di migliore al momento e non è un difetto, ma un pregio della sua tavola. Una delle cose che mi piace di più è chiamarlo qualche giorno prima di andare e discutere con lui le possibilità del menù, come se stessimo organizzando una cena fra amici.
Mi dice cosa pensa di poter trovare di più fresco e di stagione, mi propone le preparazioni che ci si possono realizzare, talvolta decidiamo insieme cosa mi farà assaggiare, ma più spesso lascio a lui mano libera. Non mi sono mai pentita, ogni volta mi ha stupito con qualcosa di originale, tutti piatti di tradizione, spesso quasi perduti, come il ragù di ossobuco e pomodorini secchi che mi ha raccontato di aver appreso da una vecchissima massaia del paese, in cui però riesce a trasmettere sempre un tocco di novità e eleganza. Vi racconto in breve cosa mi ha offerto l'altra sera, per darvi un'idea. Era la prima volta che provavo un suo menù di pesce e mi ha detto che, più dei suoi piatti di carne, è radicato profondamente nella tradizione di Ortona.




Abbiamo iniziato con un'insalata di polpo, sedano croccante e patate, particolarmente apprezzata dalle bambine per la tenerezza e l'equilibrio dei sapori.
A seguire una rivisitazione della tipica frittata ortonese di sgombro e palamide. Angelo l'ha trasformata in un gustosissimo flan, arricchito con capperi, pomodorini e rucola.
A chiusura della sfilata di antipasti, una delle preparazioni preferite della famiglia Pesce: la cipolla disidratata. Nella versione invernale, in apertura del menù di carne, viene arricchita da pancetta croccante, ma in questa serata di piatti di mare le mazzancolle la fanno da padrone e non lasciano spazio ai rimpianti nell'abbinamento alla cipolla. Ho bisogno di un altro assaggio per decidere la mia versione preferita.
Ottima la zuppa di ceci e "panocchie" (cicale di mare) con le tipiche sagne abruzzesi, una pasta fatta di acqua e farina che qui spesso si accompagna ai legumi. Segue il piatto ortonese più tipico, una vera
specialità della casa, pasta e "pelose". Sono al mio primo assaggio, non mi sono mai imbattuta in questo piatto e, siccome la prima impressione è quella che conta, sono contenta di essermi affidata a un maestro. Le bambine hanno solo un attimo di titubanza di fronte alle grosse chele, ma è solo un momento, il profumo non perdona, agguantano la forchetta e non lasciano nulla. Nel frattempo Angelo ci racconta i segreti del piatto appresi dalla nonna: il sugo, fatto con tre diversi tipi di pomodori deve bollire più di tre ore.
Lo spazio ormai è poco, così concludiamo la cena con un guazzetto di cozze che ci da il tempo di prepararci per il dolce. Concludiamo  con una splendida mousse con salsa ai mirtilli.


 
Su consiglio dello chef, abbiamo annaffiato la cena con un paio di bottiglie del territorio marchigiano-abruzzese: un Pecorino di Offida (cantina La Canosa), di buona mineralità e freschezza nonostante una decisa struttura, per accompagnare antipasti e sagne, e un Montepulciano d'Abruzzo (tenuta La Quercia), di carattere e dal naso profondo e complesso, da osare con coraggio sul ragù di granchi. La fortuna, anche in questo caso, ha aiutato gli audaci in un abbinamento inconsueto, ma dal risultato memorabile.
La Vineria di Salnitro è il mio locale dei 10/10. Il rapporto tra quel che si spende e quel che si riceve è imbattibile, se avrete occasione di sedervi alla tavola di Angelo mi direte se non ho ragione.

mercoledì 5 agosto 2015

Moda salentina - Salento I.G.T. Fichimori 2014 Tormaresca




Sì, moda. Perché un rosso salentino da bere freddo, seppure con radici in usanze locali, mi dà tanto l'idea di una creatura del marketing. Magari mi sbaglio, ma anche il modo in cui viene presentato nelle enoteche sa di colpo riuscito nel "fare tendenza". Ma partire prevenuti sarebbe un errore perché il prodotto, c'è. Da una grande realtà dell'enologia pugliese e da una tecnica di vinificazione un po' particolare del negroamaro deriva questo rosso salentino dalle caratteristiche atipiche, meno forte e poco tannico pur con alcune delle caratteristiche aromatiche della varietà in bella mostra. Viene proposto per il consumo a temperatura refrigerata, come un bianco da aperitivo, e per abbinamenti più leggeri e estivi di un classico negroamaro. Mettiamolo allora alla prova in una bella e caldissima serata estiva. Più rosa porpora che rosso porpora, nel bicchiere è rapido e leggero con i suoi riflessi di viola. Il profumo, nonostante la bassa temperatura di servizio, è intenso: fresco di ciliegia, amarene, fiori e miele, sicuramente piacevole, più floreale e leggero ma con i toni del vitigno che lo ha generato. Il sorso è fresco, con una buona acidità stemperata via via dalla morbidezza, apportata forse dall'addomesticamento indotto dall'aggiunta dichiarata di un po' di syrah? Tornano gli aromi di frutta rossa e la tipicità di amarena speziata del negroamaro in una veste molto alleggerita, appunto, estiva.
Non è certo un vino che stupisce e affascina, ma è un esperimento riuscito: il rosso si può bere freddo traendone nonostante tutto piacere. D'estate è un esperimento che potete ripetere, su piatti non troppo impegnativi per struttura e sapori, visto che il corpo e i tannini del negroamaro sono assenti per scelta produttiva. Poco più di 7€ e 81/100... ma solo perché amo i vini pugliesi più classici, se siete appassionati di aperitivi e finger food, anche qualcosa in più.